La Corte di Cassazione (sentenza del 16 luglio 2025 n. 196818) conferma le proprie precedenti valutazione in ordine alla liquidazione del danno operata in via equitativa ex art. 1226 c.c. rilevando che essa: “è fondata sull’equità c.d. “integrativa” o “suppletiva”, intesa cioè giustizia del caso singolo, quale principio che non si sostituisce alla norma di diritto nel caso concreto, bensì quale principio che completa la norma giuridica, sicché esso può trovare ingresso unicamente qualora la parte abbia dimostrato la sussistenza di un danno risarcibile o detto danno debba ritenersi in re ipsa all’evento in quanto discendente in via diretta e immediata dalla situazione illegittima (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 26051 del 17/11/2020).
La liquidazione equitativa, pertanto, consente di sopperire alle difficoltà di quantificazione del danno, al fine di assicurare l’effettività della tutela risarcitoria, ma non può assumere valenza surrogatoria della prova, incombente sulla parte, dell’esistenza dello stesso e del nesso di causalità giuridica che lo lega all’inadempimento o al fatto illecito extracontrattuale. (Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 13515 del 29/04/2022).
Essa presuppone, in definitiva, l’esistenza di un danno risarcibile certo (e non meramente eventuale o ipotetico), nonché l’impossibilità, l’estrema o la particolare difficoltà di provarlo nel suo preciso ammontare in relazione al caso concreto; la determinazione dell’ammontare del danno secondo il criterio equitativo, ove ne sussistano i esupposti, e rimessa d’ufficio, anche senza domanda di parte, al prudente apprezzamento del giudice pure in grado di appello (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 2831 del 05/02/2021).
Il Collegio rileva che tale principio è stato dal giudice dell’appello invero disatteso nell’impugnata sentenza, di riforma di quella del giudice di prime cure, sulla base di un ragionamento del tutto apodittico ed intrinsecamente ed irredimibilmente illogico in termini tali da appalesarsi quale motivazione al riguardo meramente apparente, e pertanto insussistente. Ed invero dopo: “aver ritenuto illegittimo e scorretto il comportamento assunto dall’operatore telefonico nella fase di contrattazione e nella repentina interruzione del servizio, comportante certamente disagi per ovviare alla mancanza di collegamenti telefonici e internet, ed avere quindi ritenuto nella specie sussistente l’an del danno, il giudice del gravame è pervenuto ad escludere la possibilità di farsi nella specie luogo alla valutazione del medesimo in quanto “non ancorato ad alcun elemento concreto, né fattuale né giuridico”. Orbene, il giudice dell’appello ha a tale stregua del tutto immotivatamente tenuto in assoluto non cale gli elementi valutati dal giudice di prime cure per pervenire all’effettuata liquidazione equitativa del danno, e in particolare ha del tutto negletto la circostanza che il telefono veniva usato non solo per uso personale, ma anche per lavoro, posto che l’utilità alternativa che può trarsi da un bene non esclude l’inadempimento e il danno consequenza (cfr. Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 21320 del 03/02/2025; Cass. SU n. 33645/2022) Ha del pari del tutto omesso di motivatamente considerare le molteplici utilità fornite dal telefonino, che rendono il medesimo strumento pressoché imprescindibile e irrinunziabile nell’odierno modus vivendi. Non ha quindi considerato che l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno da interruzione repentina del servizio di telecomunicazione con riguardo a una linea telefonica è da intendere in senso relativo, essendo al riguardo sufficiente una difficoltà anche solo di un certo rilievo per escludere che sia al giudice del merito consentita una decisione di “non liquet”, risolvendosi la pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria (v. Cass., 29/4/2022, n. 13515)“