I ricorrenti censuravano l’omessa liquidazione del danno morale catastrofale.avendo la Corte d’Appello ritenuto che la minore, poi deceduta, non aveva “avuto piena coscienza di sé“, e più precisamente coscienza della sua sofferenza.
La Corte di Cassazione (sentenza del 29 luglio 2025 n.21799 – dott. Marilena Gorgoni) ritiene infondato il motivo, ribadendo che: “in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale deve essere tenuto distinto da quello biologico terminale, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nell’avvertire consapevolmente l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni, rilevando soltanto l’integrità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità e intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo (per tutte v. Cass. 30/08/2019, n. 21837; Cass. 23/10/2018, n. 26727). Ciò posto, questa Corte ha già avuto occasione di esprimersi negativamente in merito alla risarcibilità del così definito danno catastrofale in capo al neonato, “poiché, al di là dell’eventuale percezione materiale di una qualche sofferenza o della presenza di dolore fisici, ciò che le attuali conoscenze scientifiche consentono di escludere (già sul piano del patrimonio delle conoscenze generalmente diffuse e qualificabili come fatto notorio) è la capacità di un organismo di quella minima età di concettualizzare quel dolore e quella sofferenza come fatti riferibili all’approssimarsi del termine della vita, con la conseguente impossibilità che il neonato possa distintamente rappresentarsi e percepire il senso di alcuna imminente’ in se considerata come fatto oggettivabile in termini coscienziali”: in termini Cass. 17/12/2024, n. 33009 che qui si intende ribadire“.
Come si vede l’affermazione, contenuta nell’indicata sentenza, non fa altro che ribadire una posizione già espressa dalla Corte, posizione che merita però alcune osservazioni sul contenuto della sofferenza in oggetto.
La Corte non ritiene sufficiente un qualche tipo di sofferenza (a differenza di quanto afferma per il più comune danno morale) ma pare pretendere che il soggetto, con il proprio bagaglio culturale, filosofico e religioso, si ponga di fronte alla morte, riconoscendola nella sua implacabile portata definitiva e definitoria. Non è quindi sufficiente il soffrire ma il riflettersi nel proprio soffrire, come guardarsi nello specchio dell’anima e riconoscere se stessi sofferenti. E’ ovvio che un neonato non possa avere questa raffinata percezione. Si pone però il problema del limite: quando può affermarsi che un essere umano acquisisca tale consapevolezza ? Un anno? Dieci anni? E le persone con gravi patologie cognitive possono definirsi capaci di riflettere sul senso della morte imminente e riflettersi come entità sofferente? E chi è in coma e da tale stato passa poi alla morte? Il compito del diritto è quello di porre, anche convenzionalmente, principi certi, chiari, oggettivi, in questo caso nulla è più confuso e più opinabile, dialogando con le conoscenze della scienza.
In caso di danno morale terminale pare così negarsi -in maniera incomprensibile- la rilevanza di alcuni contenuti del patire che invece usualmente vengono riconosciuti meritevoli di risarcimento. Come la paura o il senso di incertezza o l’incapacità di comprendere l’evolversi della situazione o il senso di fragilità o l’incapacità di difendersi. Per quale motivo tali concetti, che innervano il comune danno morale (per esempio in un banale incidente), diventano senza un reale significato per un soggetto che affronta la più estrema dell’esperienza della vita, quella della morte? Il danno è alla sensibilità della persona, sensibilità che sicuramente è presente anche in un soggetto appena nato. Non farlo significa porre un nuovo confine (temporale) altamente labile: un’ora? un giorno? un mese? Quando un essere umano acquista una sensibilità che può essere offesa dalle emozioni negative provate davanti au un evento dannoso?
In altre parole la Corte di Cassazione -ovviamente in maniera inconsapevole- pare deumanizzare il neonato, ritenendolo un mero prodotto naturale, senza sentimenti e senza alcuna ideazione (quasi che lo sviluppo cerebrale ancora debba iniziare quando è invece già iniziato durante la gravidanza). Un semplice bambolotto. Un piccolo mostricciatolo. Ed a proposito di mostri, forse vale la pena ricordare la Creatura del dott. Frankestein. Perché il sentimento, la sensazione, la consapevolezza di sé è insita nella vita, anche in quella appena sbocciata. E possono essere essere calpestati anche prima del taglio definitivo della falce della morte.