Il Tribunale di Cremona condannava la compagnia di assicurazione a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali subìti, in conseguenza del sinistro stradale verificatosi in data 3 dicembre 2005, da un giovane avvocato che al momento dell’incidente aveva 32 anni. La Corte di Appello, rigettando il motivo di impugnazione proposto da quest’ultimo, riteneva che non dovesse essere ulteriormente incrementata la somma già riconosciuta a titolo di danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa (la cui specifica voce era stata liquidata in Euro 470.000,00), determinata dal primo giudice sulla base della moltiplicazione del reddito dell’anno precedente il sinistro per il coefficiente di cui al R.D. n. 1403 del 1922. Tale statuizione veniva impugnata dal danneggiato con ricorso per cassazione.
La Corte di Cassazione (con la sentenza n. 16913/19) censurò la sentenza d’appello sotto due distinti, ma connessi, profili: per avere fatto applicazione dei coefficienti di cui al R.D. n. 1403 del 1922 e per avere posto a base del calcolo il mero reddito dell’anno precedente al sinistro. Sotto il primo profilo, la Corte di Cassazione, dando continuità ad un orientamento già formatosi sulla base di diverse pronunce, reputò che: “il danno permanente da incapacità di guadagno non potesse più liquidarsi utilizzando i coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. n. 1403/1922, dal momento che questi, sia a causa dell’aumento della durata media della vita, sia a causa della diminuzione dei saggi d’interesse, non potevano ritenersi idonei a garantire un corretto risarcimento equitativo del danno e, pertanto, a rispettare il dettato dell’articolo 1223 cod. civ. e il principio di integralità del risarcimento di cui esso è espressione. Statuì, dunque, che il giudice di merito avrebbe dovuto avvalersi di coefficienti aggiornati e scientificamente corretti come, per es., i coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti vigenti per la capitalizzazione di rendite assistenziali o previdenziali. Sotto il secondo profilo, sull’assunto del prevedibile progressivo incremento reddituale che notoriamente caratterizza l’attività professionale di avvocato, affermò che doveva essere utilizzata, come riferimento, la retribuzione media dell’intera vita lavorativa della categoria di pertinenza“.
Rinviata, dunque, la causa alla Corte d’Appello di Brescia il giudice del rinvio, con sentenza 6 maggio 2022, n. 547, procedeva alla rideterminazione dell’importo da liquidare a titolo di danno futuro da perdita della capacità lavorativa. La Corte territoriale procedeva: “ad una liquidazione unitaria, basata sulla Tabella dei redditi degli avvocati compilata dalla Cassa Forense, debitamente prodotta in atti, che individua un reddito crescente nella misura del 4,5% sino al 45 anno di età e del 2,5% sino al 64 anno d’età, nonché un reddito successivo decrescente nella misura del 6% annuo sino a stabilizzarsi dal 74 all’80 anno di età, anno in cui è prevista la cessazione dell’attività professionale. Al fine di eliminare il c.d. “montante di anticipazione” – e cioè per tener conto del fatto che il danneggiato percepisce immediatamente redditi che, se fosse rimasto sano, avrebbe incassato solo tra n anni – la Corte bresciana ha previsto poi di applicare al risultato dell’operazione un tasso di sconto“.
La Corte di Cassazione (sentenza del 12 agosto 2025 n.23108), cui è stata portata all’esame la sentenza di rinvio della Corte bresciana ha ritenuto che: “il procedimento di liquidazione del danno da perdita di guadagno è del tutto corretto in iure, essendosi essa debitamente uniformata al duplice principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, che imponeva, da un lato, l’abbandono dei coefficienti del R.D. n. 1403/1922 e l’utilizzazione di coefficienti aggiornati e scientificamente corretti, dall’altro, di tenere conto del prevedibile progressivo incremento reddituale che caratterizza notoriamente l’attività professionale dell’avvocato“