La non attualità della tabella applicata si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo

studio legale palisi padova risarcimento

La Corte di Cassazione (sentenza del 1 agosto 2025 n. 22183) osserva come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale: “quando, all’esito del giudizio di primo grado, l’ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo il sistema tabellare, la sopravvenuta variazione, nelle more del giudizio di appello, delle tabelle utilizzate legittima il soggetto danneggiato a proporre impugnazione, per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, allorquando le nuove tabelle prevedano l’applicazione di differenti criteri di liquidazione o una rideterminazione del valore del punto-base in conseguenza di una ulteriore rilevazione statistica dei dati sull’ammontare dei risarcimenti liquidati negli uffici giudiziari, atteso che, in questi casi, la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c. (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 22265 del 13/9/2018, Rv. 650595 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25485 del 13/12/2016, Rv. 642330 – 01);

varrà sul punto sottolineare come la variazione tabellare non incida sull’accertamento (an) dell’eventus damni (ossia sul diritto al risarcimento) ma soltanto su criteri logici orientativi ed esplicativi del potere discrezionale di liquidazione equitativa, venendo a costituire un superamento della valutazione-tipo e della tecnica liquidatoria precedente, e dunque immediatamente applicabile in quanto ritenuta ‘allo stato dell’arte maggiormente adeguata a garantire l’effettivo ristoro del danno patito;

riguardata sotto tale aspetto, la variazione tabellare può ritenersi immanente all’esercizio del potere equitativo ex art. 1226 e 2056 c.c., che rimane pertanto sindacabile, sotto il profilo della violazione di legge, per incongruità o lacune nella scelta degli indici sintomatici, delle condizioni personali, e delle particolari circostanze del caso assunte a base della determinazione del quantum, laddove il giudice di merito si discosti – senza plausibile ragione – dai nuovi criteri tabellari limitandosi ad applicare i precedenti criteri divenuti obsoleti, venendo in tal modo a porsi in contrasto con l’interpretazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., fornita da questa Corte, intesa come compensazione ‘equa’ – secondo ciò che la comunità sociale, in un determinato contesto storico, ritiene satisfattivo del pregiudizio non patrimoniale subito – e, tendenzialmente, integrale, dovendosi riparare un danno per lesione di un interesse della persona di per sé insuscettibile di valutazione economica e quindi difficile prova quanto al preciso ammontare dell’equivalente monetario (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 4447 del 25/02/2014);

converrà osservare in proposito che, non essendo riconducibili le c.d. tabelle tra le fonti dell’ordinamento, e non rivestendo natura normativa neppure come elementi richiamati ab externo ad integrare la fattispecie normativa che regola l’esercizio del potere equitativo del giudice di merito, non essendo ad esse fatto alcun espresso rinvio dagli artt. 2056 e 1226 c.c., e pertanto, pur dovendo escludersi (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 9367 del 10/5/2016) che la modifica delle stesse nel corso del giudizio possa operare come jus superveniens che il giudice è obbligato ad applicare anche quando il nuovo diritto sia sopravvenuto nelle more tra la camera di consiglio e la pubblicazione della sentenza (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 14357 del 21/12/1999; Sez. 1, Sentenza n. 26066 del 10/12/2014), occorre considerare – alla stregua della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata – che le tabelle costituiscono, come è stato rilevato, un utile parametro di verifica della legittimità dell’attività di giudizio, in quanto consentono – avuto riguardo alle caratteristiche di omogeneità ed uniformità di trattamento di situazioni tipo che i criteri tabellari esprimono – di valutare detta attività sotto il profilo della congruità e rispondenza – della liquidazione equitativa – al principio generale per cui al soggetto leso deve attribuirsi l’integrale ristoro del danno, assumendo a riferimento indici standard correlati a qualità e condizioni soggettive ed oggettive delle persone lese (intendendosi tali quegli elementi di valutazione che sono ritenuti socialmente rilevanti per giungere ad un ristoro del danno – non altrimenti dimostrabile con esatta precisione nel quantum – da intendersi come ‘giusto’ secondo il comune apprezzamento che emerge dal contesto storico-sociale nel quale tali criteri di liquidazione sono chiamati ad operare), rispetto ai quali una deviazione non motivata appare sintomatica del vizio di legittimità di violazione dell’art. 1226 c.c.;

è stato infatti posto in rilievo da questa Corte che l’adattamento dell’ordinamento al caso concreto, attraverso la creazione di una regola ad hoc in difetto della quale pretese meritevoli di tutela resterebbero insoddisfatte (com’è per gli artt. 1226,1374 e 2056 cod. civ.), non esaurisce il senso e il contenuto della nozione di equità. Essa – ed è la caratteristica che viene qui specificamente in rilievo – ha anche la funzione di garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale, o viceversa: sotto questo profilo l’equità vale ad eliminare le disparità di trattamento e le ingiustizie. Alla nozione di equità è quindi consustanziale non solo l’idea di adeguatezza, ma anche quella di proporzione (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, in motivazione);

ne segue che il giudice che non si sia attenuto ai criteri tabellari, qualora non fornisca una motivata giustificazione di tale scelta in relazione al caso concreto, non assolve all’obbligo che gli è richiesto di ristorare integralmente il danno non patrimoniale, al quale viene meno – avuto riguardo al principio di immanenza del criterio estimativo comunemente ritenuto più adeguato – qualora, investe la questione in grado di appello, non ritenga di applicare i nuovi criteri liquidatori previsti dalla variazione tabellare in base al semplice rilievo della correttezza della liquidazione operata dal giudice di prime cure, in quanto conforme ai criteri tabellari ‘vigenti’ in primo grado: ed infatti, come si è rilevato, non trova applicazione con riferimento alla variazione tabellare la regola tempus regit actum, dato che le tabelle non disciplinano i requisiti di validità di una fattispecie quanto alla fase genetica o alla produzione di effetti giuridici, ma operano esclusivamente sul piano dell’esercizio del potere discrezionale riservato al giudice nella liquidazione equitativa del danno, e dunque sul piano della risposta che il giudice è tenuto a dare rispetto alla domanda risarcitoria proposta dal danneggiato, avente titolo in un rapporto giuridico che, finché pende il giudizio, non può ritenersi esaurito e che non ha ‘ancora’ trovato il dovuto integrale ristoro nella liquidazione in via equitativa effettuata alla stregua di criteri (vigenti al momento della pronuncia di prime cure ma) divenuti obsoleti nelle more del giudizio di merito (cfr. Sentenza n. 25485 del 13/12/2016, cit., in motivazione);

al riguardo, varrà altresì considerare quanto ritenuto, in una fattispecie consimile, dalla giurisprudenza di questa Corte, là dove si è affermato come, in tema di applicazione delle c.d. tabelle milanesi di liquidazione del danno, qualora dopo la deliberazione della decisione e prima della sua pubblicazione, sia intervenuta una loro variazione, deve escludersi che l’organo deliberante abbia l’obbligo di riconvocarsi e di procedere ad una nuova operazione di liquidazione del danno in base alle nuove tabelle, la cui modifica non integra uno jus superveniens, né in via diretta né in quanto possano assumere rilievo, ai sensi dell’art. 1226 c.c., come parametri doverosi per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 9367 del 10/05/2016, Rv. 639902 – 01);

tali considerazioni (già frutto del patrimonio argomentativo acquisito dalla giurisprudenza di questa Corte) appaiono ulteriormente integrabili attraverso l’affermazione del principio secondo cui, una volta che il giudice d’appello abbia ritenuto (come nella specie) di applicare un determinato criterio di liquidazione equitativa del danno (come, ad es., la c.d. ‘tabella di Milano’), deve escludersi la necessità di una specifica richiesta della parte vòlta all’applicazione della tabella più aggiornata, poiché la manifestata intenzione di adottare un determinato criterio equitativo (nella specie, la ‘tabella milanese: cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) impone già di per sé l’obbligo (pena la violazione dell’art. 1226 c.c.) di applicare tale tabella nella sua versione più aggiornata al momento della liquidazione del danno;

nel caso di specie (ferma l’avvenuta dimostrazione, da parte della ricorrente, che l’applicazione della tabella più aggiornata avrebbe comportato una liquidazione più favorevole del risarcimento rivendicato), l’affermazione del giudice d’appello, secondo cui non si sarebbero potute applicare le tabelle milanesi più aggiornate – dovendosi invece applicare le medesime tabelle milanesi nella formulazione vigente all’epoca della liquidazione operata dal giudice di primo grado, poiché nessuna delle parti ne aveva fatto richiesta – deve ritenersi erronea, siccome in contrasto con l’art. 1226 c.c., con la conseguente cassazione sul punto della sentenza impugnata;

dev’essere dunque affermato il principio di diritto secondo cui: allorquando il giudice di appello eserciti il suo ministero riprovvedendo alla liquidazione del danno già liquidato dal primo giudice secondo una tabella risalente ad una certa data, egli, dovendo applicare l’art. 1226 c.c. ha il dovere di applicare la tabella aggiornata eventualmente sopravvenuta e non può, per applicarla, esigere l’istanza di parte, giacché il potere ex art. 1226 c.c. (ormai cristallizzatosi in appello nel senso dell’applicazione del relativo sistema tabellare) è potere esercitabile d’ufficio e l’applicazione dell’aggiornamento fa parte del suo contenuto“;

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Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

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