La Corte di Cassazione (sentenza del 28 agosto 2025 n. 24056) precisa i presupposti (ed i limiti) entro i quali è denunciabile in sede di legittimità la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in ordine all’applicazione del procedimento di presunzione. Quale punto di partenza pone l’insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 1785/2018, che ha statuito: “la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ., suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi“.
In proposito, è stato anche di recente acutamente osservato (Cass. n. 14207/2024, non massimata) come il suddetto insegnamento non implichi affatto che la valutazione con cui il giudice di merito abbia reputato “gravi”, “precisi” e “concordanti” gli indizi a sua disposizione (ovvero ne abbia escluso la gravità, la precisione e la concordanza) possa essere sindacata sic et simpliciter in sede di legittimità. Il significato del principio prima riportato, infatti, è stato esattamente ricondotto alla possibilità di censurare in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione delle norme sulla prova presuntiva solo in due ipotesi limitate e residuali: a) la prima ipotesi è che il giudice di merito, dopo aver egli stesso qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi disponibili, ne escluda l’efficacia probatoria; b) la seconda ipotesi, speculare, è quella in cui il giudice, dopo aver egli stesso qualificato gli indizi disponibili come “non gravi, imprecisi e discordanti”, li utilizzi come fonte di prova.
In tale ultima ipotesi ricorre il c.d. “vizio di sussunzione”. Tale vizio, però, ricorre non già per il solo fatto che il giudice di merito abbia interpretato gli indizi in un modo piuttosto che in un altro, come pure mostra di ritenere la ricorrente, ma quando il giudice di merito pervenga al giudizio di “gravità, precisione e concordanza” degli indizi violando il corretto metodo di valutazione di tali concetti, ossia: (i) applicando il ragionamento probabilistico per valutare la gravità; (ii) stimando il grado di probabilità dell’ipotesi rispetto al fatto, per valutare la precisione; (iii) mettendo in relazione ogni indizio con tutti gli altri, per valutare la concordanza. È il rispetto di questa metodologia valutativa – prosegue, ancora, la citata Cass. n. 14207/2024 – che la Corte di cassazione può sindacare sotto il profilo del vizio di sussunzione e non certo l’esito finale cui il giudice di merito sia approdato (si vedano, in tal senso, la citata Cass., Sez. Un., n. 1785/2018, par. 4.1, lettera (bb), della motivazione; nonché Cass. n. 20417/2023; Cass. n. 13209/2020; Cass. n. 3546/2020; Cass. n. 3541/2020; Cass. n. 19485/2017).
La critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito non è, invece, sindacabile in sede di legittimità quando “si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo…, o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito” (così Cass., Sez. Un., n. 1785/2018, cit.). La valutazione degli indizi compiuta dal giudice di merito, dunque, è incensurabile non solo quando sia l’unica possibile, ma anche quando sia solo una tra le tante plausibili“.