La Corte di Cassazione (sentenza del 5 settembre 2025 n. n.246181) rammenta la propria posizione per la quale : “il danno da lesione della capacità lavorativa specifica va provato sotto il profilo della contrazione ovvero della totale perdita della capacità di produrre reddito (Cass., 03/07/2014, n. 15238; Cass., 21/03/2025, n. 7604)” precisando che tale danno: “deve essere liquidato: a) sommando e rivalutando i redditi già perduti dalla vittima tra il momento del fatto illecito e quello della liquidazione; b) nonché attraverso il metodo della capitalizzazione e, cioè, moltiplicando i redditi futuri perduti per un adeguato coefficiente di capitalizzazione corrispondente all’età della vittima al tempo della liquidazione (Cass., 9048/2018)” In applicazione del principio dell’integralità del risarcimento sancito dall’art. 1223 cod. civ.: “il danno da perdita della capacità lavorativa specifica deve essere liquidato – ferma restando l’esigenza di tener conto anche della persistente, benché ridotta, capacità di reperire e mantenere altra occupazione retribuita (v. Cass., n. 14241/2023) – in base al reddito che il danneggiato avrebbe potuto conseguire proseguendo nell’attività lavorativa perduta a causa dell’illecito o dell’inadempimento, sia nell’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro in atto al tempo dell’evento dannoso, sia in quella di stato di disoccupazione, purché questa sia involontaria e incolpevole, nonché temporanea e contingente, e sussista ragionevole certezza o positiva dimostrazione che lo stesso danneggiato, se rimasto sano, avrebbe intrapreso un nuovo rapporto di lavoro avente ad oggetto la medesima attività o altra confacente al proprio profilo professionale (v. Cass., n. 4289/2024)“.
Il Collegio rileva che dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che: a) la corte di merito ha individuato l’ammontare annuo (euro 20.000,00) del reddito percepito dal danneggiato ante sinistro (v. p. 10 dell’impugnata sentenza, ove si fa riferimento “al reddito annuo percepito sino al 2014 indicato nel modello 730/2013 e nei CUD 2012 e 2014”, che espressamente viene “assunto a termine di raffronto del reddito perduto”); b) ha moltiplicato questo reddito per il coefficiente di capitalizzazione, ancora moltiplicato per l’accertata e ritenuta percentuale dei postumi permanenti (18%), dedotto lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa nella misura percentuale del 10%; c) ha, tuttavia, omesso di sommare e rivalutare i redditi perduti – pur avendo riconosciuto che il danneggiato fosse percettore di un reddito annuo di Euro 20.000,00 – dal momento del sinistro (10 maggio 2014) sino al momento della liquidazione; d) ha, tuttavia, detratto dall’operata capitalizzazione la somma di Euro 34.021,04 pari alle retribuzioni tutte percepite dal danneggiato dall’anno 2015 all’anno 2018. Orbene, in relazione sia al punto c) sia al punto d) la corte di merito è incorsa nella violazione nei suindicati principi di diritto, in particolare di quelli posti dalla già citata Cass., 9048/2018. Ed invero: “sotto il primo profilo ha omesso, senza motivazione alcuna, di liquidare il lucro cessante “passato”, dal momento del sinistro sino al momento della liquidazione del danno; sotto il secondo profilo ha, per un verso, correttamente proceduto a liquidare il lucro cessante futuro con il metodo della capitalizzazione (rectius, secondo la formula “R (reddito) x C (coefficiente di capitalizzazione) x P (perdita della capacità lavorativa specifica in misura percentuale, nel caso di specie del 18%) – S (scarto tra vita fisica e vita lavorativa in misura del 10%), ma ha poi, sempre immotivatamente, detratto dall’importo così ottenuto la somma di Euro 34.021,04, pari alle retribuzioni tutte percepite dal danneggiato prima della capitalizzazione dei redditi futuri“.