La Corte di Cassazione (sentenza del 17 settembre 2025 n.25481) precisa, a risposta del formulato ricorso, che la Corte d’Appello non ha affatto ritenuto i danni non patrimoniali sussistenti in re ipsa, ma li ha riconosciuti sulla base di ragionamento presuntivo adeguatamente motivato e in sé rimasto esente da specifiche censure, fondato:
“da un lato, quanto al risarcimento del danno iure hereditario (comprensivo di “ogni aspetto biologico e morale connesso alla percezione della morte imminente e dunque dei pregiudizi altrove definiti come danno biologico terminale, da lucida agonia o morale catastrofale”), sui dati fattuali acquisiti che evidenziavano l’emersione, nelle prime ore della mattina del 14 luglio, di “un grave episodio di dispnea”, tale da ragionevolmente far presumere che la vittima “abbia realizzato l’ineluttabilità dell’evento morte (certamente evocato dalla gravità di tale stesso sintomo, collegato alla difficoltà/impossibilità di respirazione), così vivendo quel momento di massima intensità della sofferenza che si rappresenta in chi abbia la percezione della imminente ed inesorabile morte“;
“dall’altro, quanto al danno da perdita del rapporto parentale, sullo stretto rapporto di parentela che legava gli attori in riassunzione alla vittima primaria, in ciò conformandosi al principio che attribuisce al vincolo formale di coniugio o di parentela già di per sé valore di elemento presuntivo della sussistenza del danno, secondo “meccanismi che richiamano il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) secondo una progressione che… trova un limite ragionevole… nell’ambito delle tradizionali figure parentali nominate” (così in motivazione Cass. n. 28989 del 2019), salva la prova contraria, anche di tipo presuntivo, che spetta al responsabile fornire e che nella specie non è stata in alcun modo offerta“.