La Corte di Cassazione (con la sentenza emessa in data 16 settembre 2025 n. 25417) ritorna nuovamente sulla questione del risarcimento in caso di premorienza della vittima, partendo dal consolidato principio, consolidato (tra le molte: Cass. n. 23053/2009; Cass. n. 679/2016), per cui: “qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile“. Viene poi affrontato è il criterio di liquidazione di siffatto danno.
A tal riguardo, il Collegio riafferma:”il principio enunciato da Cass. n. 41933/2021 (e ribadito, tra le altre, da Cass. n. 15112/2024, Cass. n. 20894/2024 – di cui sono qui richiamate le argomentazioni – e Cass. n. 8481/2025), non essendo state addotte ragioni tali da doversene discostare, per cui il danno anzidetto va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente (IP), alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti. In tal modo è soddisfatto il criterio dell’equità di cui all’art. 1226 c.c., poiché a parità di durata della vita residua viene corrisposto, in caso di uguale invalidità permanente, un risarcimento uguale; ciò in quanto l’IP è (logicamente, giuridicamente e secondo la medicina legale) una condizione di menomazione della persona che sorge con lo stabilizzarsi dei postumi del danno alla salute e non decresce più col passare del tempo“.
La Corte territoriale (rileva il Collegio), avendo fatto riferimento per la liquidazione del danno biologico permanente patito alle tabelle sul c.d. danno da premorienza elaborate nel 2018 dal Tribunale di Milano, basate sull’attribuzione al danno biologico permanente di un valore economico decrescente nel corso del tempo, non si è attenuta all’anzidetto principio di diritto, applicando un criterio non conforme al criterio dell’equità di cui all’art. 1226 c.c.
Inoltre i medesimi giudici di legittimità ritengono non concludenti le critiche mosse dai controricorrenti contro l’applicazione del criterio della proporzionalità, sopra richiamato, “adducendo che dalla relativa applicazione si avrebbe “il paradossale effetto”, da reputarsi affatto “iniquo”, per cui più giovane è il danneggiato e più ridotto risulta il risarcimento. Invero, non è dall’applicazione del criterio della proporzionalità che è generato il “paradosso” denunciato (ossia, risarcimento maggiore al crescere dell’età della vittima), giacché esso dipende dalla intrinseca configurazione della tabella, per cui il valore del punto viene fatto crescere in funzione dell’IP in modo proporzionale, mentre è fatto decrescere in funzione dell’età in modo lineare, ossia 0,5% per ogni anno di età della vittima, a prescindere dal grado di invalidità permanente. Di qui, la conseguenza che a parità di IP, il risarcimento non risulta proporzionale all’età e ciò in base ad un criterio – quello anzidetto, per cui il valore del punto è abbattuto in funzione d’una percentuale fissa per ogni anno di età – che è stato recepito dal legislatore nell’art. 139 cod. ass. proprio come criterio equitativo di liquidazione del danno biologico“