La Corte di Cassazione medita sapientemente sul dolore

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A volte capita, nel nostro lavoro, di imbatterci in sentenze che “escono” dal consueto, dalle mere formule, dalle conosciute espressioni. Questa è una di quelle. Una decisione magistrale, ove oltre alla conoscenza giuridica, vibra l’aspetto della condivisione, dell’empatia e della partecipazione. Ogni magistrato dovrebbe tenerla sul proprio tavolo di lavoro per ricordarsi l’alto ufficio che è chiamato a compiere.

I ricorrenti (genitori di una figlia morta appena nata) criticavano l’orientamento – fatto proprio dai giudici di appello – della Corte di Cassazione (Cass. 22859/2020; Cass. 12717/2015), secondo la quale la perdita del frutto del concepimento (ovvero di un neonato, come afferma, nel caso di specie, il Tribunale, a differenza del giudice di appello, che discorre di perdita del feto) sarebbe una perdita di un rapporto parentale “soltanto potenziale”; secondo i ricorrenti, che traggono conforto da una diversa decisione sempre di questa Corte (Cass. 26301/ 2021), si tratterebbe della perdita di un rapporto parentale tout court.

La Corte di Cassazione (sentenza del 6 ottobre 2025 n. 26826 – rel. dott. Giuseppe Cricenti) rileva che il contrasto tra le decisioni sopra ricordate potrebbe risultare meramente apparente, a condizione che il significato del sintagma “danno potenziale” sia rettamente inteso. Infatti “se per “danno potenziale” si fa riferimento alla (mancata) evoluzione di un rapporto genitore-figlio, normalmente destinato a dipanarsi nel tempo, ed impedito dalla colpevole attività dei sanitari, la definizione è senz’altro corretta. Non lo sarebbe, di converso, se essa impingesse, negandola, nella doppia dimensione del danno da perdita di un feto (o di un neonato) escludendone la rilevanza sia sotto il profilo della sofferenza interiore (specie della madre, che vive per nove mesi un rapporto via via sempre più intenso, in una dimensione di progressiva immedesimazione, con il frutto del concepimento), sia sotto quelli dinamico-relazionale, poiché la quotidianità della vita di due genitori che perdono un figlio anche soltanto concepito non è paragonabile a quella di genitori che, quel figlio, lo hanno visto nascere, e si preparano ad accompagnarlo giorno dopo giorno in tutte le stagioni della sua vita.

Vanno, pertanto, riaffermati i principi già espressi nella citata sentenza 26301/2001, a mente della quale, circoscrivendo nella sua sola dimensione funzionale -riduttivamente ed impropriamente- il danno “da perdita del frutto del concepimento”, si omette di considerare che, in realtà, i genitori prima, il giudice poi, si trovano al cospetto di un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale. E si rammenta ancora, in motivazione, come “anche la tutela del concepito abbia un sicuro fondamento costituzionale” come ripetutamente affermato dal Giudice delle leggi, rilevando in tale prospettiva non solo la previsione della tutela della maternità sancita dall’art. 31, secondo comma, Cost., ma anche quanto stabilito dall’art. 2 Cost., norma “che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito” (Corte costituzionale n. 27 del 1975).

Andranno, pertanto, applicati, nel caso di specie, i principi ripetutamente affermati da questa Corte, che non solo ha ritenuto legittimati i componenti del consorzio familiare a far valere una pretesa risarcitoria che trova fondamento negli artt. 2043 e 2059 cod. civ. in relazione agli artt. 2,29 e 30 Cost., nonché – ai sensi della norma costituzionale interposta costituita dall’art. 8 CEDU, che dà rilievo al diritto alla protezione della vita privata e familiare – all’art. 117, comma 1, Cost. (in tal senso, funditus, Cass. 27 marzo 2019, n. 8442), ma ha anche chiarito che tale tipo di pregiudizio rileva nella sua duplice, non sovrapponibile dimensione morfologica “della sofferenza interiore eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, ulteriore e diversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l’ha subita”: così, Cass. 901/2018, 7513/2018, 2788/2019, nonché, funditus, Cass. 11 novembre 2019, n. 28989 (nella quale, all’evidenza, è contenuto un refuso nell’incipit della motivazione, contenuto al folio 9, poiché il principio dedicato alle duplicazioni risarcitorie è soltanto la riproduzione virgolettata di quanto -erroneamente- affermato dalle sezioni unite del 2008, il cui superamento è poi inconfutabilmente argomentato nelle pagine successive della sentenza).

L’approdo definitivo di un lungo e tormentato percorso interpretativo ha finalmente colto la reale fenomenologia del danno alla persona, come confermato dallo stesso, esplicito dettato legislativo di cui al novellato art. 138 C.d.a., oltre che dalla cristallina sentenza del Giudice delle leggi n. 235/2014 che, nel pronunciarsi sulla conformità a Costituzione del successivo art. 139, e discorrendo di risarcibilità anche del danno morale al punto 10.1. della sentenza, ha definitivamente chiarito la differenza strutturale tra qualificazione della fattispecie e quantificazione del danno.

Tutti gli aspetti, comportamentali e sofferenziali, di due genitori cui la vita infligge l’ardua prova rappresentata dalla morte di una neonata, ovvero del frutto del concepimento appena estratto dal corpo della madre, non possono, pertanto, considerarsi “danno potenziale” come tale avulso dalla costante, insanabile, implacabile dimensione del dolore genitoriale, risultando tale espressione, se così erroneamente interpretata, del tutto non conforme alla realtà, prima ancora che al diritto.

Può oggi definirsi massima di comune esperienza, grazie all’insegnamento di molte scienze umane, quella secondo cui, di norma, il rapporto genitoriale viene ad esistere già durante la vita prenatale, per consolidarsi progressivamente nel corso della stessa, a prescindere dal fatto che il feto sia successivamente venuto alla luce. Ed è constatazione diffusa, che non necessita del supporto di particolari riferimenti scientifici, che già durante la gravidanza il genitore comincia a viversi come tale, instaurando una relazione affettiva (oltre che strettamente biologica, da parte della madre) con il concepito, adeguando alla nuova situazione, al tempo stesso attuale e in fieri, la propria dimensione di vita. Ove l’illecito abbia causato la morte del feto, quella che si produce – in capo ai genitori – è, dunque, lesione di un rapporto familiare (non solo potenziale, bensì) già in essere. Nel riconsiderare tali aspetti del danno lamentato dai ricorrenti, il collegio di rinvio – dopo aver sciolto il nodo della sopravvivenza o meno della piccola Mi.An., alla luce della contraddizione che sembra emergere dalla stessa sentenza – terrà conto di quanto, ancora, affermato da questa Corte con la più volte citata sentenza 26301/2021 (oltre che dei principi di cui a Cass. 8887/2020), valorizzando in particolare l’aspetto della sofferenza interiore patita dai genitori, volta che, nella perdita di un rapporto parentale (specialmente di un figlio) è proprio la dimensione del dolore, assai più che la modifica della propria vita di relazione, a rappresentare l’aspetto più significativo del danno.

Esiste, difatti, una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macrolesione del congiunto rimasto in vita – caso nel quale è la vita di relazione a subire profonde modificazioni in pejus. Una differenziazione che rileva da un punto di vista qualitativo quantitativo del risarcimento se è vero che, come insegna la più recente ed avveduta scienza psicologica, (e contrariamente alle originarie teorie elaborate alla fine de secolo scorso sul tema del lutto), quella della cosiddetta elaborazione del lutto è un’idea fallace, poiché camminiamo nel mondo sempre circondati dalle assenze che hanno segnato la nostra vita e che continuano ad essere presenti tra noi. Il dolore del lutto non ci libera da queste assenze, ma ci permette di continuare a vivere e di resistere alla tentazione di scomparire insieme a ciò che abbiamo perduto”. Il vero danno, nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza, non la relazione. È il dolore, non la vita, che cambia una persona, se la vita è destinata, sì, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a sé stessi nel mondo“.

Il Collegio dunque conclude affermando che: “va pertanto stigmatizzata, sotto il profilo della omessa motivazione, l’affermazione della Corte territoriale, che si legge al folio 25 della sentenza impugnata, secondo la quale il richiamo operato dai ricorrenti, nella seconda comparsa ex art. 190 c.p.c., alla sentenza 26301/2021 sarebbe il frutto di un vero e proprio errore, poiché in realtà “si tratta” scrivono i giudici partenopei “dell’ordinanza n. 26300/2021, ma, soprattutto, essa non riguarda la fattispecie del feto morto, ma esamina un caso di grave sofferenza cerebrale per asfissia intra partum, cui seguì il decesso del danneggiato all’età di 14 anni”. Ebbene, a differenza di quanto incautamente affermato, si tratta, in realtà, proprio dell’ordinanza 26301/2021 (il numero di provvedimento 26301 è evidentemente diverso dal numero 26300, come sarebbe stato agevole notare se solo ci si fosse data pena di leggerli entrambi), che si occupava, contrariamente a quanto si legge nella sentenza impugnata, proprio di un caso esattamente sovrapponibile a quello di specie, la cui motivazione (ben diversa da quella che si era occupata di uno sfortunato quattordicenne) è stata poc’anzi riportata in parte qua

E molto significativamente i Giudici concludono: “Ogni altra considerazione sul punto va in questa sede risparmiata caritatis causa“.

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Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

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