La Corte di Cassazione indica come necessaria la valutazione operata dal Giudice, in ordine al caso concreto, volta a rappresentare ogni peculiarità della vicenda. Importante è l’affermazione per la quale sussistono due tipi di conseguenze dalle lesioni di carattere biologico: i risvolti dinamico relazionali (o esistenziali) ordinari risarciti presuntivamente, stante la gravità del danno biologico, mediante l’importo standard compreso nel valore del punto della tabella di Milano (ed in futuro, con la TUN,mediante applicazione dell’art. 138 C.d.A. e gli ulteriori aspetti peculiari, specificamente allegati e provati dal danneggiato. Il medico legale quindi dovrà essere chiamato a analizzare i due differenti aspetti, dandone compiuta motivazione nella propria valutazione.
La sentenza impugnata escludeva che – in mancanza di circostanze specifiche, che evidenziassero conseguenze più gravi di quelle ordinariamente riscontrabili in presenza di un danno comportante i postumi di invalidità permanente accertati – potesse applicarsi la cd. personalizzazione in aumento (rispetto al valore standard già incluso nel valore a punto indicato nella Tabella di MIlano). La Corte di Cassazione (sentenza del 3 ottobre 2025 n.26670) ritiene che la stessa si è così uniformata al proprio ‘orientamento secondo il quale: “in presenza di una lesione della salute, potranno aversi le “conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi”, ovvero, conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità e conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 marzo 2018, n. 7513, Rv. 648303-01). Orbene, se tutte tali conseguenze, indifferentemente, costituiscono un danno non patrimoniale, resta inteso che la liquidazione delle prime, tuttavia, presuppone la mera dimostrazione dell’esistenza dell’invalidità, laddove “la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell’effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto“. In questo quadro, pertanto, la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza d’una lesione della salute, non esce dall’alternativa: o è una conseguenza normale del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico, attraverso la sua “personalizzazione” (cfr. sempre Cass. Sez. 3, ord. n. 7513 del 2018, cit.). Ne deriva, pertanto, che l’operazione di “personalizzazione” impone al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari (così Cass. Sez. 3, sent. 21 settembre 2017, n. 21939, Rv. 645503-01), e ciò in quanto le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. n. 7513 del 2018, cit.)“.
Ciò posto, la sentenza impugnata ha dato conto del fatto che, rispetto alla liquidazione del danno alla persona secondo il sistema tabellare, il primo giudice aveva attribuito al danneggiato un ulteriore importo di Euro 10.255,04, per ristorare “la perturbazione esistenziale legata alle sofferenze e disagi nelle attività dinamico-relazionali patite dal danneggiato“, ma anche per “il pregiudizio all’integrità fisiognomica“, oltre che “il danno da lesione della “cenestesi lavorativa“. Pervenendo a tali conclusioni, la sentenza impugnata non si è, dunque, discostata da quanto predicato dalla Corte di Cassazione.
Il Collegio inoltre precisa che: quanto al “danno fisiognomico” (o meglio, estetico), la sentenza impugnata ha dato seguito al principio secondo cui “la lesione dell’integrità fisionomica costituisce una componente, o aspetto, del danno biologico”, sicché di essa “il giudice deve tenere conto nella liquidazione di quest’ultimo”, nel quale va ricompreso, ciò che, però, non esclude che il giudice, “avendo correttamente inquadrato la natura del danno in esame, possa” -ma non necessariamente “debba” – “procedere ad una liquidazione a parte, al fine di meglio adeguare l’ammontare del risarcimento alla effettiva entità del pregiudizio” (così già Cass. Sez. 3, sent. 15 novembre 1999, n. 12622, Rv. 531116-01; in senso analogo pure Cass. Sez. 3, sent. 27 marzo 2007, n. 7492, Rv. 596961-01). Non censurabile, infine, è anche la decisione di “affidare” a tale somma aggiuntiva pure il ristoro del danno da cenestesi lavorativa. Difatti, secondo questa Corte, mentre il danno di natura patrimoniale, derivante dalla perdita di capacità lavorativa specifica, “richiede un giudizio prognostico sulla compromissione delle aspettative di lavoro in relazione alle attitudini specifiche della persona”, quello “da lesione della “cenestesi lavorativa”, di natura non patrimoniale, consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente, neanche sotto il profilo delle opportunità, sul reddito della persona offesa, risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo”, sicché tale tipologia di danno, “configurabile solo ove non si superi la soglia del 30% del danno biologico, va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute, potendo il giudice, che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto” (Cass. Sez. 3, ord. 12 giugno 2023, n. 16628, Rv. 668169-01). Ad una funzione analoga a quella svolta dall’appesantimento del punto risponde, nel caso di specie, la liquidazione della suddetta somma in via equitativa, senza, quindi, che possa dirsi che il danno da cenestesi lavorativa sia rimasto privo di autonomo ristoro“.