La vicenda trae origine dall’attività lavorativa di un carpentiere saldatore elettrico e tubista, addetto alla manutenzione, riparazione e revisione di macchine e impianti a bordi delle unità navali militari dislocate dal Ministero della Difesa, che si era occupato di operazioni di taglio e saldatura di lamiere e di tubi rivestiti in amianto, rimanendo esposto quotidianamente, in ambienti angusti, a polveri di amianto, vernici, solventi, oli combustibili, fumi di combustione e polveri metalliche. Il medesimo aveva contratto un carcinoma polmonare, riconosciuto dall’I.N.A.I.L., come malattia professionale e fonte di rendita pari al 75%, dapprima in favore del medesimo e poi della vedova a seguito del suo decesso. L’attività di lavoro con esposizione ai fattori di rischio era avvenuta -secondo la decisione assunta dal Tribunale di Taranto- senza l’adozione dei previsti dispositivi di protezione individuale (quali, ad esempio, le maschere respiratorie), e senza che vi fossero sistemi di aspirazione o captazione delle sostanze volanti negli ambienti di lavoro, con violazione delle norme antinfortunistiche. La vedova , nel reclamare il risarcimento iure hereditatis del danno biologico differenziale, del danno da invalidità temporanea e di quello morale, aveva invocato la responsabilità della società datrice di lavoro per la violazione degli artt. 1218,2087,2043 e 2050 cod. civ., anche per mancata attuazione degli obblighi di vigilanza, formazione e informazione dei dipendenti, e protezione rispetto ai potenziali danni. La responsabilità del Ministero, invece, era stata indicata dalla ricorrente anche per culpa in eligendo per aver affidato i lavori ad azienda che non garantiva la sicurezza dei lavoratori.
La Corte d’Appello, dava atto che il Tribunale aveva liquidato il danno non patrimoniale temporaneo sofferto, tanto con riferimento alla componente biologica compresa tra il momento della diagnosi e quello del decesso, quanto della sofferenza morale per la compressione delle potenzialità vitali e per la percezione dell’approssimarsi dell’exitus, confermava la decisione impugnata, là dove era stata esclusa la decurtazione della rendita I.N.A.I.L. dall’importo del risarcimento. Notava la Corte d’Appello che la rendita I.N.A.I.L. afferiva al danno biologico permanente e al danno patrimoniale per inabilità temporanea assoluta, mentre il risarcimento accordato comprendeva il danno biologico temporaneo e il danno morale e, quindi, non ricorreva l’omogeneità delle poste per provvedere allo scomputo.
La Corte di Cassazione (sentenza del 24 ottobre 2025 n. 28262) conferma la predetta decisione, affermando che: “la Corte d’Appello ha reso una più articolata motivazione basata sulla possibilità di provvedere a esso secondo “poste omogenee” e sulle ragioni che l’hanno portata a escludere al caso di specie l’applicabilità della disciplina del danno differenziale introdotta dall’art. 1, comma 1256, L. 145/2018, entrata in vigore l’1.1.2019“




