La Corte di Cassazione (sentenza del 24 ottobre 2025 n. 28255) censura le singolari ragioni che la Corte di Appello di Venezia ha posto alla base del diniego risarcitorio a favore della sorella di un deceduto, in quanto del tutto difformi dalla giurisprudenza ormai consolidata. ED invero il giudice di merito, sebbene avesse dato atto che la ricorrente aveva allegato di essere l’unica sorella sopravvissuta, che il fratello era un riferimento costante e che tra i due vi era una frequentazione assidua, aveva ritenuto queste ultime generiche ed i9nefficaci a sostenere il risarcimento preteso.
Il Collegio rileva che: “tale statuizione non è in linea con il costante orientamento espresso da questa Corte in materia di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. È stato ripetutamente sostenuto da questa Corte, con orientamento stabile e ribadito ancora di recente, il principio secondo il quale la morte di una persona causata da un illecito fa presumere da sola, ex art. 2727 cod. civ., una conseguente sofferenza morale in capo, oltre che ai membri della famiglia nucleare “successiva” (coniuge e figli della vittima), anche ai membri della famiglia “originaria” (genitori e fratelli), a nulla rilevando né che la vittima e il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur); in tali casi, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (v., Cass. 15 febbraio 2018, n. 3767; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5452; Cass. 15 luglio 2022, n. 22397; Cass. 30 agosto 2022, n. 25541; Cass. 4 marzo 2024, n. 5769; Cass. 16 febbraio 2025, n. 3904. In senso conforme, v., inoltre, Cass. 16 marzo 2012, n. 4253). Cass. 5769/2024, nel dare continuità all’indicato principio di diritto e declinandolo con riferimento alle due polarità delle possibili conseguenze non patrimoniali risarcibili per la lesione di interessi costituzionalmente protetti (v., Cass. 17 gennaio 2018, n. 901), ha osservato che “che la presunzione iuris tantum (che onera il convenuto della prova contraria dell’indifferenza affettiva o, persino, dell’odio) concerne l’aspetto interiore del danno risarcibile (c.d. sofferenza morale) derivante dalla perdita del rapporto parentale, mentre non si estende all’aspetto esteriore (c.d. danno dinamico-relazionale), sulla cui liquidazione incide la dimostrazione dell’effettività, della consistenza e dell’intensità della relazione affettiva (desumibili, oltre che dall’eventuale convivenza – o, all’opposto, dalla distanza – da qualsiasi allegazione, comunque provata, del danneggiato), delle quali il giudice del merito deve tenere conto, ai fini della quantificazione complessiva delle conseguenze risarcibili derivanti dalla lesione estrema del vincolo familiare”.
L’affermazione fatta dalla Corte d’Appello a proposito degli indici esposti dalla ricorrente -era l’unica sorella sopravvissuta, il fratello era un riferimento costante e che tra i due vi era una frequentazione assidua – nel senso che essi fossero generici “in assenza di altre più puntuali allegazioni”, è errata e confligge con i già indicati principi di diritto. Infatti, la riferita genericità non attiene all’individuazione del danno, ma alla sua quantificazione, ed ha portato a negare, quantomeno limitatamente alla componente interiore della sofferenza morale connessa alla perdita del congiunto, la presunzione, sia pure iuris tantum, della sua sussistenza, in base alla quale gravava sul danneggiante l’onere di fornire la prova contraria“.




