Il genitore di un minore, conveniva, davanti al Tribunale di Pescara, il titolare dello stabilimento balneare, per ottenerne il risarcimento dei danni che avrebbe subito suo figlio per essersi leso un piede mentre faceva il bagno nel tratto marino prospiciente a tale stabilimento balneare, a causa dell’urto con un manufatto di cemento e ferro sommerso nell’acqua e adagiato sul fondo. La vicenda, approdata alla Corte di Cassazione (e decisa con la sentenza del 5 novembre 2025 n. 29182), si conclude con il rigetto della domanda, sulla base dell’esistenza, al momento del sinistro, del divieto di balneazione comunicato agli utenti con cartelli visibili infissi nei pressi della battigia, per di più venendo issata la bandiera rossa, anche questa attestante “una condizione di pericolo impeditiva della balneazione”.
Il Collegio rileva – un po’ semplicisticamente- che: “non incide, infatti, per quale fine fosse stata vietata la balneazione, essendo ovvio che, se il divieto, realmente esistente e adeguatamente manifestato, fosse stato rispettato, il minore non sarebbe comunque venuto a impattare nel manufatto presente nel fondo, e quindi non avrebbe riportato alcuna conseguente lesione. La questione era stata ritualmente sottoposta dall’attuale ricorrente, e la Corte territoriale l’ha riconosciuta ancora presente nella difesa da lui veicolata nel secondo grado (sentenza, pagina 7), affrontandola espressamente come segue “Irrilevante… il divieto di balneazione, imposto per prevenire rischi alla salute a causa dell’inquinamento delle acque, peraltro trattandosi di divieto – il che è notorio – costantemente ignorato dalla maggior parte dei bagnanti e in ogni caso non idoneo a far configurare la colpa della madre per l’occorso, dovuto alla presenza del rottame ferroso in area nella quale si poteva, comunque, camminare senza inalare acqua di mare”. Questa spiegazione motivazionale del rigetto fornita dalla Corte territoriale è palesemente irragionevole ad avviso di detta Corte, infatti, il divieto non avrebbe avuto alcuna incidenza – anche se legittimamente disposto dalla competente Autorità e ben reso noto con cartelli specifici – per non essere stato rispettato da molti. Sempre nell’ottica del giudice d’appello, il divieto non avrebbe valore perché si potrebbe comunque evitare di “inalare acqua di mare”. È evidente, dunque, che la motivazione della sentenza impugnata non giunge al minimum costituzionale, poiché si fonda sull’asserto, del tutto irragionevole, che un divieto ritualmente imposto dall’Autorità competente e correttamente segnalato come sussistente dal titolare dello stabilimento balneare sarebbe tamquam non esset perché non rispettato da numerose persone, quasi che ciò conducesse ad una sua legittima disapplicazione e quindi verrebbe a scardinare, in ultima analisi – pure questo è stato evidenziato nel motivo – quantomeno l’applicabilità dell’articolo 1227, secondo comma, c.c. Né, poi, ha alcuna pertinenza l’argomento inerente all’inalazione dell’acqua di mare, poiché, come la stessa Corte territoriale in sostanza riconosce, il divieto sussisteva di per sé, non affiancandosi a un permesso più o meno implicito di entrare nell’acqua se chi entrasse avesse intenzione di non inalarla“.
La decisione francamente non convince, in quanto il divieto di balneazione, imposto per altri motivi (inquinamento delle acque), non è certamente in grado di allertare l’utenza della presenza di insidie non visibili e non prevedibili. Un conto è che il danneggiato si fosse lamentato delle conseguenza dell’ingestione delle acque contaminate (in quanto il custode avrebbe fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per informare del pericolo), ma è poco, o nulla, comprensibile che tale divieto sia piegato anche per la copertura di altri tipi di responsabilità (anche oggettiva). La decisione sembra giustificata solo esclusivamente dall’evidente stigma nei confronti dell’art. 2051 c.c. che ha pervaso la Corte di Cassazione, che approfitta di ogni argomentazione al fine di non procedere all’applicazione dell’istituto. Allora tanto vale obrogare la norma.




