La Corte di Cassazione, con la sentenza del 3 novembre 2025 n.29054, ritiene che: “costituisce (come, del resto, ritenuto anche dal pubblico ministero), affermazione di un condivisibile principio di diritto quella per cui, in base ai principi generali che regolano la responsabilità risarcitoria, i costi per le spese mediche sostenuti e da sostenersi per i trattamenti delle patologie causate da un illecito debbano essere integralmente risarciti, pur se effettuati presso strutture private, anche estere, purché si tratti di trattamenti necessari o, quanto meno, utili, e purché la scelta di rivolgersi a strutture private anziché a strutture pubbliche o convenzionate, con i relativi maggiori costi, sia ragionevolmente giustificata dalle circostanze del caso concreto, e non si traduca, pertanto, in mero arbitrio. Quei costi potrebbero, quindi, essere risarciti nel caso in cui le strutture private garantiscano una maggiore affidabilità o una maggiore concreta efficacia dei trattamenti, ovvero questi, pur necessari o utili, non siano disponibili presso strutture pubbliche o convenzionate, ovvero ancora l’accesso a tali trattamenti, presso le strutture pubbliche o convenzionate, presenti oggettive difficoltà materiali, logistiche o connesse ai tempi di attesa, tali da giustificare l’opzione di scelta in favore della struttura privata e non renderla sostanzialmente superflua e, pertanto, tale da aggravare ingiustificatamente la posizione del debitore. Tale principio di diritto, che trova il suo fondamento nel disposto dell’art. 1227, comma 2, c.p.c., certamente applicabile anche nella fattispecie, atteso che i danni costituiti dall’onere delle spese mediche non possono avere un trattamento differente da ogni altra tipologia e voce di danno, non è in contrasto con l’indirizzo di questa Corte secondo il quale “il risarcimento del pregiudizio patrimoniale corrispondente alle spese mediche sostenute dal danneggiato non può essere ridotto ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c., per il sol fatto che egli abbia scelto di farsi curare da una struttura privata anziché pubblica, non essendo configurabile alcun obbligo di rivolgersi al sistema sanitario nazionale” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29308 del 23/10/2023), ma anzi ne costituisce la più corretta applicazione, specificandone l’esatta portata, che non può essere illimitata ed assoluta.
L’applicazione dell’art. 1227, comma 2, c.c., comporta, più precisamente, che:
“a) di regola, tutte le spese che il danneggiato dimostri di avere sostenuto per trattamenti necessari o anche solo utili, sul piano sanitario, per la sua patologia causata dall’illecito, anche presso strutture private (e anche all’estero) sono risarcibili (e altrettanto è a dirsi per le spese future da sostenersi);
b) per escluderne il risarcimento, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c., occorre sempre una eccezione di parte e la rigorosa prova, a carico del danneggiante eccipiente (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10995 del 14/07/2003; Sez. L, Sentenza n. 11672 del 29/07/2003), che si tratta di spese evitabili con l’ordinaria diligenza, cioè, in sostanza, di spese superflue, perché quei medesimi trattamenti (o trattamenti del tutto equivalenti) sarebbero stati disponibili, con equivalente efficacia sul piano sanitario e senza rilevanti maggiori difficoltà di accesso, presso strutture pubbliche o convenzionate, gratuitamente o, comunque, con costi inferiori, non comportando, di conseguenza, per lo stesso danneggiato, lo svolgimento di attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (cfr., sui limiti dell’onere di diligenza richiesto al danneggiato, ex multis: Cass., Sez. L, Ordinanza n. 22352 del 05/08/2021; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25750 del 15/10/2018)“;




