La prova del diritto di proprietà nel risarcimento del danno patrimoniale

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Le censure si riferiscono alla medesima questione di diritto, in quanto contestano, sotto differenti profili, la sentenza impugnata nella parte relativa alla determinazione del quantum debeatur, con particolare riferimento all’esclusione risarcimento del danno patrimoniale in relazione ad alcuni dei beni mobili trafugati, per non esserne stata provata l’appartenenza all’odierno ricorrente.

La Corte di Cassazione (sentenza del 31 ottobre 2025 n. 28786, ritiene i motivi sono fondati. Anzitutto rammenta il consolidato principio: “secondo cui, nel giudizio volto al risarcimento del danno – che si configura come azione personale, finalizzata alla tutela di un diritto di credito –, non è necessaria la prova rigorosa della titolarità del diritto di proprietà sui beni in relazione ai quali si assume essere stato subito il pregiudizio. Onerare il danneggiato dell’obbligo di fornire una puntuale dimostrazione del diritto di proprietà rispetto a tali beni, si tradurrebbe inevitabilmente in una probatio diabolica. La rigidità dell’onere probatorio sarebbe eccentrica, o comunque ultronea, rispetto allo scopo di tutela cui tende il giudizio risarcitorio, finalizzato all’accertamento di un illecito, al quale sia conseguito un danno ingiusto. Infatti, diversamente dall’azione reale, in cui è centrale l’accertamento del diritto di proprietà o di altro diritto reale, nell’ambito dell’azione promossa per far valere il diritto al risarcimento del danno in conseguenza di un illecito, tale accertamento è solo strumentale ad individuare nel titolare del bene l’avente diritto al risarcimento (Cass. n. 14650/2011).

Ne consegue che, ai fini di tale accertamento, il giudice può fondare il proprio convincimento anche su elementi di carattere documentale o presuntivo, dai quali emerga, secondo un criterio di ragionevole probabilità, la riconducibilità del danno lamentato al soggetto che assume di averlo patito (cfr. Cass. n. 15233/2007; Cass. n. 14458/2011; Cass. n. 18841/2016; Cass. n. 2203/2024). Tale impostazione risponde anche all’esigenza di evitare un formalismo eccessivo nell’accertamento della legittimazione attiva nell’ambito del giudizio risarcitorio, in cui il regime probatorio già si connota per un’intrinseca complessità, determinata dall’onere di dimostrare gli elementi costitutivi dell’illecito, segnatamente il danno-evento, il danno-conseguenza, la loro correlazione causale nonché l’elemento soggettivo in capo al danneggiante.

Sicché, qualora si elidesse il carattere solo strumentale dell’accertamento in ordine alla titolarità del bene in relazione al quale venga lamentato un danno patrimoniale subito in conseguenza di un fatto illecito, sfumerebbero le differenze che connotano la disciplina del riparto dell’onere della prova tra azione di accertamento del diritto di proprietà e azione risarcitoria. Si aggiungerebbe, peraltro, al regime dell’onere della prova un ulteriore elemento di complessità, non necessario allo scopo e potenzialmente persino controproducente. Tale modifica, infatti, potrebbe determinare conseguenze pregiudizievoli per i soggetti che si dichiarino danneggiati, sui quali graverebbe un onere probatorio eccessivamente gravoso, con il rischio di compromettere, in ultima analisi, la garanzia di una tutela piena ed effettiva nei confronti del danneggiato vittima di un illecito“.

Il Collegio rileva che nel caso di specie, la Corte territoriale: “ha disatteso tali principi escludendo il diritto al risarcimento del danno in capo all’odierno ricorrente in relazione alla sottrazione di alcuni beni. Tale decisione si è basata sulla mancata dimostrazione, da parte del ricorrente, della titolarità sui beni in questione, assumendo che, essendo appartenuti alla defunta moglie – deceduta due anni prima dell’illecito – fosse a lui necessario provare l’acquisto per via ereditaria e, in ogni caso, agire in giudizio nella qualità di erede. In disparte l’erroneità di tale ultima affermazione – atteso che la legittimazione processuale iure hereditatis può essere esercitata solo in relazione a diritti già sorti in capo al de cuius quando era ancora in vita, circostanza evidentemente estranea al caso di specie -, assume rilievo assorbente la considerazione per cui il mancato assolvimento dell’onere probatorio relativo all’acquisto iure hereditatis della titolarità dei beni preziosi non costituisce una circostanza dirimente, tale da giustificare il diniego del diritto al risarcimento del danno, subito dall’odierno ricorrente a causa della sottrazione dei medesimi beni. La carenza di decisività della mancata prova dell’acquisto per successione ereditaria, così come della foggia femminile dei preziosi, di cui si discute, è rivelata ancor più da altri elementi certamente significativi, come la detenzione e la custodia dei preziosi presso l’abitazione del Pa.An., nonché la circostanza che quest’ultimo rivestisse per legge la qualifica di chiamato all’eredità della defunta moglie, alla quale i suddetti beni erano appartenuti in vita“.

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Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

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