Il ricorrente, nel contestare l’applicazione del cd. principio della compensatio lucri cum damno, operata dalla Corte d’Appello in considerazione degli importi da lui incassati in virtù di polizze assicurative private stipulate in suo favore, svolgeva due distinte (benché connesse) censure, una di puro diritto e una che riguarda anche accertamenti di fatto. Sosteneva, in primo luogo, che la compensatio avrebbe dovuto escludersi, in quanto nelle polizze assicurative private stipulate in suo favore, l’assicuratore aveva rinunciato al diritto di surroga/rivalsa nei confronti del responsabile del danno. Inoltre, affermava che la compensatio avrebbe comunque dovuto escludersi anche perché le polizze in questione avevano natura previdenziale e non di assicurazione contro i danni, come avrebbe dovuto desumersi: a) dalla stessa rinuncia dell’assicuratore al diritto di rivalsa nei confronti del responsabile del danno; b) dal fatto che l’indennizzo erogato era “ancorato in percentuale ad un capitale convenzionalmente pattuito”; con riguardo a questo secondo punto, secondo il ricorrente, la sentenza sarebbe priva di effettiva motivazione o, comunque, sostenuta da motivazione viziata dalla violazione dei criteri di ermeneutica negoziale, con riguardo all’esclusione della natura previdenziale della polizza.
La Corte di Cassazione (sentenza del 3 novembre 2025 n. 29054) rigetta entrambe i motivi. In ordine al primo rileva che: “secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, cui va assicurata continuità, “in applicazione del principio della “compensatio lucri cum damno”, la necessità di detrarre dall’ammontare del risarcimento l’indennizzo assicurativo incassato dal danneggiato in conseguenza del fatto illecito non è subordinata alla rinuncia dell’assicuratore al diritto di surroga, dal momento che la perdita del diritto dell’assicurato verso il terzo responsabile e l’acquisto dello stesso da parte dell’assicuratore sono effetti interdipendenti e contemporanei basati sul medesimo fatto giuridico rappresentato dal pagamento dell’indennità assicurativa” (per tutte, cfr.: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9003 del 30/03/2023)“.
Con riguardo alla seconda censura, in primo luogo, osserva che: “le prestazioni assicurative di natura previdenziale non escludono, in sé, la compensatio, in linea generale (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18050 del 05/07/2019: “in caso di sinistro che comporti la perdita totale o parziale, temporanea o definitiva, della capacità lavorativa, il danneggiato non può cumulare la prestazione previdenziale che abbia eventualmente percepito, a titolo di indennità di malattia o di pensione di invalidità, con l’integrale risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, essendo entrambe le poste finalizzate al ristoro della lesione del medesimo bene della vita, vale a dire, la capacità di produrre reddito, sicché, nel caso in cui l’ente previdenziale abbia corrisposto a tale titolo un’indennità al danneggiato, di quest’importo si dovrà tenere conto nella liquidazione del pregiudizio posto, sul piano risarcitorio, a carico del danneggiante”; nel medesimo senso; Sez. 3, Ordinanza n. 13540 del 17/05/2023). In realtà, il ricorrente sembrerebbe in qualche modo intendere affermare che la pretesa natura “previdenziale” delle polizze comporterebbe che le stesse sarebbero da qualificare come forme di assicurazioni sulla vita, il che escluderebbe la compensatio lucri cum damno. Orbene, contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso, una motivazione, sia pur sintetica, sul punto, è ravvisabile nella sentenza impugnata . E in effetti, stante la circostanza che si tratta di polizze espressamente denominate come “polizze infortuni” (polizza ALLIANZ n. (Omissis), stipulata da FIP in favore degli atleti; polizza ALLIANZ n. (Omissis) denominata “(Omissis)”, stipulata da Go.Gi. in cui il figlio Go.St. risultava tra gli assicurati), quella corrispondente al loro tenore letterale non costituisce certo una interpretazione del tutto arbitraria e, quindi, non può ritenersi la motivazione sul punto meramente apparente, in quanto, dalla lettura complessiva della statuizione impugnata emerge che essa si fonda sul rilievo che l’espressa qualificazione della polizza operata dalle parti non è smentita dalle circostanze addotte dal ricorrente e, pertanto, le allegazioni di questi non possono considerarsi sufficienti a far ritenere le polizze in questione come assicurazioni sulla vita. D’altra parte, anche in relazione alla dedotta violazione dei criteri di ermeneutica negoziale, può osservarsi che, mentre la rinuncia al diritto di surroga di cui all’art. 1916 c.c. certamente non è decisiva ai fini della qualificazione della natura della polizza, quanto al criterio di calcolo dell’indennizzo (che si assume “ancorato in percentuale ad un capitale convenzionalmente pattuito”), il contenuto delle clausole da cui emerge tale circostanza e, quindi, le effettive modalità di calcolo dell’indennizzo, non dimostrano quanto sostenuto dal ricorrente, ma, al contrario, confermano che si tratta di comuni polizze infortuni (quindi di assicurazioni dei danni) e, comunque, , non certo di polizze assimilabili ad assicurazioni sulla vita. Nel ricorso (a pag. 63) è trascritto il contenuto delle clausole rilevanti: “art. 3.5 (denominato “Invalidità permanente da infortunio”) della polizza infortuni privata ALLIANZ n. (Omissis) (doc. 40 fasc. secondo grado esponente qui nuovamente prodotto sub doc. 32) secondo cui: “Qualora l’infortunio abbia per conseguenza una invalidità permanente e questa si verifichi – anche successivamente alla scadenza della polizza – entro due anni dal giorno nel quale l’infortunio è avvenuto, l’Impresa liquiderà a tale titolo, secondo le percentuali indicate nella ‘Tabella’ allegata, una indennità calcolata in proporzione al grado di invalidità accertato sulla somma assicurata per invalidità permanente totale; nonché l’art. 16 lett. C) (denominato Prestazioni – Lesioni) della polizza n. (Omissis) (doc. 41 fasc. secondo grado esponente qui nuovamente prodotto sub doc. 33) secondo cui “l’Assicuratore corrisponde l’indennizzo nella misura prevista come segue: per tutti gli Assicurati saranno operanti le prestazioni previste nella Tabella A allegata alla quale verrà applicato il massimale di riferimento”. Non si tratta di clausole che consentano di affermare la natura previdenziale, anziché di assicurazione contro i danni, delle polizze in questione e, tanto meno, la loro assimilabilità ad una assicurazione sulla vita. L’importo riconosciuto come indennizzo è ancorato ad un capitale prestabilito, essendo prestabilito il limite patrimoniale del rischio assicurato, ma, come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello, non vi è alcun elemento che possa indurre a ritenere che l’indennizzo non resti una (pur parziale) copertura del danno derivante dall’infortunio e assuma diversa natura“.
In definitiva, la qualificazione della natura delle polizze, da parte della Corte d’Appello viene ritenuta corretta e, in ogni caso, l’interpretazione della volontà negoziale emergente da esse non può ritenersi arbitraria e, di conseguenza, sindacabile nella sede di legittimità.




