Il Tribunale di Tempio Pausania, ritenendolo decaduto dalla prova testimoniale, non avendo provveduto a citare i testi per l’udienza fissata per la loro audizione, aveva rigettato la domanda di condanna risarcitoria, formulata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 2051 c.c., nei confronti della Provincia di Olbia Tempio, avente ad oggetto i danni patiti in conseguenza del sinistro causato da una buca presente sul manto stradale. Ritenendo i suoi avvocati responsabili del cattivo esito del giudizio proposto nei confronti della Provincia di Olbia Tempio, atteso che, dopo avere ottenuto l’accoglimento dell’istanza di prova testimoniale, non avevano provveduto a citare i testi per l’udienza fissata per la loro escussione, li aveva citati, dinanzi al Tribunale di Sassari, per responsabilità professionale.
A tale proposito la Corte di Cassazione (sentenza del 19 novembre 2025 n. 30495) ha ribadito che nei giudizi relativi alla responsabilità dell’avvocato che: “l’accertamento del nesso di causalità si fonda sulla teoria della condicio sine qua non (temperata dalla teoria della causalità adeguata e da quella dello scopo della norma violata), per cui occorre individuare quell’antecedente la cui eliminazione mentale, mediante un ragionamento controfattuale, determinerebbe il venire meno dell’evento lesivo o dannoso oggetto del giudizio o anche soltanto una significativa attenuazione dei suoi effetti, nella fattispecie della condotta dannosa per omissione è necessario ipotizzare un decorso causale alternativo – quello che sul piano del fatto non si è verificato a causa della condotta omessa – così da verificare quali conseguenze sarebbero discese dall’azione che l’autore dell’omissione era tenuto a porre in essere. Se, nonostante l’adozione della condotta dovuta ma omessa, l’effetto avrebbe comunque sostanzialmente coinciso con l’evento che si assume lesivo o dannoso, risulterebbe smentita la rilevanza dell’omissione come condizione necessaria di tale accadimento, che risulterebbe, dunque, non imputabile all’autore dell’omissione, perché evidentemente trovante la sua genesi in altre cause. Se, invece, il ragionamento controfattuale portasse a ritenere che l’adozione della condotta dovuta e omessa avrebbe impedito l’occorrere dell’evento lesivo o dannoso oppure ne avrebbe contenuto la portata, minimizzato ovvero posticipato in misura non irrisoria gli effetti, il giudice non potrebbe che ricavarne la conclusione che proprio l’omissione sia stata la condizione necessaria dell’evento“.
Ebbene, il giudice a quo -rileva il Collegio- ha correttamente condotto il giudizio controfattuale: “ha confrontato, come era tenuto a fare, il caso reale con quello ipotetico, vale a dire quello “nel quale le circostanze, senza il fattore considerato, conducono al risultato il più probabile vicino al corso normale delle cose”, ed è pervenuto alla conclusione che il caso reale (nella specie: la decadenza dalla prova testimoniale) e il caso ipotetico non verificato (se i testi fossero stati escussi) conducevano allo stesso risultato (negativo per il cliente); il che ha privato la negligenza professionale degli odierni controricorrenti, pur riconosciuta come sussistente, di alcuna incidenza eziologica al verificarsi del danno. Le critiche del ricorrente non tengono conto del fatto che il giudice chiamato a verificare la ricorrenza di una responsabilità dell’avvocato per il mancato conseguimento di un risultato favorevole per il cliente fa sì il “processo al processo“, ma solo fittiziamente, giacché si avvale di giudizi ipotetici di tipo controfattuale (quale sarebbe stato l’esito della causa se non ci fosse stata negligenza difensiva), non fa “il processo direttamente“.
Va anche opportunamente ribadito che sebbene a questa Corte sia stato talvolta imputato di non aver assunto un orientamento univoco circa il se l’accertamento prognostico condotto dal giudice di merito in ordine al probabile esito dell’azione giudiziale costituisca un accertamento di fatto o di diritto (per dimostrare l’esistenza di un possibile contrasto si cita Cass. 13/02/2014, n. 55 secondo cui “nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale che è stata malamente intrapresa o proseguita è una valutazione in diritto, fondata su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico. Ma nel giudizio di cassazione tale valutazione, ancorché in diritto, assume i connotati di un giudizio di merito, il che esclude che questa Corte possa essere chiamata a controllarne l’esattezza in termini giuridici” e la si contrappone a Cass. n. 10320/2018 citata che ha affermato che la valutazione compiuta dal giudice di merito in ordine al possibile effetto favorevole, per l’assistito, dell’attività omessa dall’avvocato, possa essere sindacata qualora in essa si ravvisi un errore di sussunzione), proprio di recente, con la sentenza n. 28903 dell’11/11/2024, è stato dimostrato che nessun contrasto può dirsi sussistente tra le linee argomentative di Cass. n. 3355/2014 e Cass. n. 10320/2018, ribadendo che la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito è una valutazione che attiene al merito di quel giudizio e, come tale, non è sindacabile in sede di legittimità, essenzialmente perché è un giudizio che ha ad oggetto il nesso di causalità tra l’attività omessa e l’esito favorevole che sarebbe potuto derivare al cliente (Cass. n. 3355/2014, Cass. 14/11/2022, n. 33466; Cass. 25/07/2023; Cass. 27/07/2024 n. 21045). Diverso è il caso – qui, però, non ricorrente – in cui la valutazione giuridica compiuta dal giudice di merito nello svolgimento del giudizio c.d. controfattuale si fondi su un presupposto manifestamente e totalmente errato, perché simile errore non può essere ignorato e dovrà essere considerato anche nel giudizio di cassazione, pur rimanendo la valutazione giuridica del giudice di merito tendenzialmente estranea al perimetro del giudizio di legittimità (Cass. n. 10320/2018).
Che il giudice a quo non abbia basato il giudizio controfattuale su un presupposto errato è dimostrato dal fatto che ha ritenuto che i capitoli di prova 1 e 2, relativi alle circostanze di tempo, di luogo e di modalità dell’incidente, alla presenza di una buca nella strada, alla mancata segnalazione della stessa, avevano trovato riscontro indiziario negli atti e nelle fotografie prodotti in giudizio e dette circostanze non erano state contestate dalla Provincia di Olbia Tempio e che i capitoli 3 e 4 riguardavano le lesioni riportate dal danneggiato che erano documentate dalla certificazione medica e dalla consulenza medica di parte. La Provincia – ha precisato la Corte territoriale – si era difesa non già negando il nesso di derivazione causale del danno dalla res, ma denunciando la disattenzione e l’incuria del Se.Ma. e sottolineando la percepibilità anche a distanza della sconnessione dell’asfalto. Il Se.Ma. incentra i suoi sforzi ulteriori nel tentativo di, per così dire, sostenere la bontà della valutazione effettuata dal Tribunale di Tempio Pausania nonché di quella del Tribunale di Sassari, pervenendo ad un esito del giudizio controfattuale diverso da quello della Corte territoriale, riproponendo la tesi secondo cui se “i difensori avessero adempiuto al proprio onere di diligenza, citando i testimoni dedotti ed ammessi, la causa, nel giudizio presupposto, avrebbe avuto inequivocabilmente e sicuramente esito favorevole”. Si tratta di censure che sul punto restano sul piano della confutazione del giudizio di fatto, e dunque ad un livello non scrutinabile in sede di legittimità, perché attingono la ritenuta irrilevanza sul piano probatorio delle testimonianze richieste, secondo una valutazione di congruenza del mezzo istruttorio rispetto al thema probandum, riservata al giudice del merito“.




