L’IVASS contestava a Generali Italia s.p.a. la violazione, in ordine ad 89 posizioni, dell’art. 183, comma 1, lettera a), del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (in base al quale nell’esecuzione dei contratti le imprese devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati). In particolare rilevava che la compagnia aveva erogato la prestazione ai beneficiari in ritardo rispetto al termine di 30 giorni stabilito dalle condizioni contrattuali.
La S.p.A. Generali impugna la decisione del TAR che aveva confermato la condanna erogata dall’Organo di controllo. Il Consiglio di Stato (con la sentenza del 20 maggio 2025 n. 4302) ratifica la decisione, affermando che: “il principio della buona fede oggettiva, intesa come reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come deve presiedere negli intendimenti del legislatore, alla sua formazione e alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnare il contratto in ogni sua fase, concretandosi nel dovere di cooperazione e nell’obbligo di solidarietà e ponendosi come limite di ogni situazione negozialmente attribuita (Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2004, n. 20399). L’esecuzione del contratto secondo buona fede (art. 1375 c.c.) impone di evitare il pregiudizio dell’interesse della controparte alla corretta esecuzione dell’accordo ed al conseguimento della relativa prestazione, non potendosi invocare a giustificazione l’altrui errore, ove agevolmente rilevabile e rimediabile senza dover sopportare sforzi o costi sproporzionati al risultato (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2011, n. 19879). Alla luce di questi principi, correttamente la difesa di IVASS afferma che l’impresa, ricevuta una richiesta liquidatoria eventualmente incompleta, non può essere ammessa a rimanere in statica e infruttuosa attesa del completamento della documentazione da parte del richiedente, ma deve attivarsi perché l’interesse dell’avente diritto sia tempestivamente soddisfatto. In questo si sostanzia l’obbligo di cooperazione prima richiamato. Il Collegio non ha motivo per discostarsi da quanto affermato dalla Sezione nella sentenza n. 5468/2020: “Rientra comunque nei canoni di diligenza professionale rafforzata ai sensi dell’art. 1176, comma 2, cod. civ., facenti capo all’impresa assicuratrice in qualità di professionista qualificato, di farsi parte diligente per garantire il tempestivo completamento delle pratiche da parte degli interessati, nei cui confronti la stessa è investita delle menzionate obbligazioni accessorie di informazione, protezione e garanzia“. Parte appellante non ha dimostrato di essersi fatta parte diligente ponendo in essere tutte le azioni utili a consentire il deposito della documentazione necessaria così da poter rispettare il termine contrattualmente previsto per la liquidazione“.
Il Collegio rileva che: “il concorso di colpa della vittima nella causazione del danno da essa sofferto va determinato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1227, comma 1, c.c., mediante la comparazione della colpa della vittima con quella dell’offensore e la valutazione, in via ipotetica e con giudizio controfattuale, di quale tra le due sia stata più grave in riferimento all’altra e di quale tra le due condotte colpose abbia apportato il contributo causale prevalente rispetto all’avverarsi del danno (Cass. civ., Sez. III, ordinanza, 04/09/2024, n. 23804). In assenza di una chiara e specifica indagine sull’incidenza causale del comportamento tenuto dai singoli beneficiari, dichiarare una concorrenza colposa della vittima si pone in contrasto con i criteri di accertamento causale e dell’onere della prova. Parte appellante non ha fornito, nel corso dell’istruttoria, elementi utili a supportare l’esistenza di un contributo causale appena rilevante del privato in relazione al verificarsi dell’evento“.




