Un bambino di un anno e otto mesi, mentre giocava con la sorella, sul balcone di un appartamento, che i genitori avevano locato, precipitava al suolo, cadendo da un’altezza di 10 metri circa, a causa del cedimento della ringhiera cui era appoggiato. A seguito di un lungo periodo di inabilità, il bambino riportava gravissimi postumi permanenti, di tipo fisico e neurologico. I genitori, in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio, richiedevano il risarcimento del danno sia nei confronti della proprietaria dell’appartamento, ai sensi dell’art. 2053 c.c., nonché della differente usufruttuaria e locatrice dell’appartamento, ai sensi degli artt. 1575,2043 e 2051 c.c. La Corte di Appello, in sede di precedente rinvio, rigettava la domanda ritenendo la proprietaria priva della custodia dell’appartamento.
La Corte di Cassazione (con la sentenza del 21 novembre 2025 n. 30701) nell’accogliere il ricorso avverso simile statuizione, prende le mosse dalla sua precedente sentenza (n. 25819/2017), resa nel primo giudizio di legittimità, affermando che in quella sede aveva affermato che non poteva affermarsi l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. ad entrambi i soggetti convenuti non essendo ipotizzabile un eguale potere fisico sulla cosa da parte di persone aventi ipoteticamente titoli diversi. Per l’effetto, aveva investito la Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, in ordine all’accertamento del responsabile per danni da cosa in custodia ex art. 2051 c.c., da individuarsi nel soggetto che avesse la concreta disponibilità materiale sulla cosa (in tal senso, ex multis, Sez. 3, Ordinanza n. 12796 del 10/05/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 10972 del 23/04/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 30288 del 31/10/2023; Sez. 3, Sentenza n. 11152 del 27/04/2023; Sez. U, Ordinanza n. 20943 del 30/06/2022; Sez. 3, Sentenza n. 21788 del 27/10/2015; Sez. 3, Sentenza n. 16422 del 27/07/2011; Sez. 3, Sentenza n. 26086 del 30/11/2005; Sez. 3, Sentenza n. 16231 del 03/08/2005; Sez. 3, Sentenza n. 12280 del 05/07/2004; Sez. 3, Sentenza n. 2422 del 09/02/2004).
La Corte d’Appello investita del rinvio aveva dichiarato di aver espressamente limitato perciò la propria cognizione alla esclusiva individuazione del responsabile ex art. 2051 c.c., di modo che ogni altra questione doveva ritenersi estranea al thema decidendum, così mandante esente da ogni responsabilità l’usufruttuaria. Il Collegio però osserva che: “questo argomento non è, però, condivisibile e si pone in contrasto con i principi da tempo enunciati da questa Corte, per cui, in tema di giudizio di rinvio prosecutorio, la riassunzione, anche ad opera di una sola delle parti, ponendo le stesse nella medesima posizione originaria, impone al giudice del rinvio di decidere la controversia sulla base delle conclusioni già formulate nelle precedenti fasi di merito: sicché, fatta salva l’ipotesi di un eventuale giudicato interno, egli è chiamato, anche nella contumacia di una delle parti, a pronunciarsi su tutte le domande ed eccezioni di merito a suo tempo proposte, a prescindere dalla loro formale ed espressa riproposizione (cfr., da ultimo, Sez. 3, Ordinanza n. 6506 del 11/03/2025; Sez. 2, Sentenza n. 12065 del 03/05/2024). In proposito, è appena il caso di osservare che i sigg.ri Ma. e Gi.An. hanno sin dal primo grado prospettato, e poi pedissequamente ribadito, la responsabilità della Es. ai sensi dell’art. 2053 c.c., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni in quanto proprietaria dell’immobile locato dalla Ca.Co.. Ne discende che la Corte territoriale, una volta accertato il soggetto responsabile ex art. 2051 c.c., avrebbe poi dovuto esaminare nel merito la domanda proposta dai sigg.ri Ma. e Gi.An. nei confronti di Es.Lu. ex art. 2053 c.c., in quanto proprietaria dell’appartamento presso il quale si è verificato il sinistro, valutandone la corresponsabilità, se del caso anche a diverso titolo per non esservi alcuna incompatibilità tra quella del custode e quella del proprietario, in uno alla Ca.Co., che ha ritenuto responsabile ex art. 2051 c.c.
In tal guisa, non coglie nel segno e resta destituita di ogni fondamento giuridico la precisazione di parte controricorrente che, insistendo ancora nella negazione del diritto di proprietà di Es.Lu., ritiene impossibile, dal punto di vista giuridico, che su un medesimo bene possa gravare, ad un tempo, un diritto di proprietà e un diritto di usufrutto, che invece per millenaria tassonomia partecipa proprio della categoria degli iura in re aliena (Dig. 7.1.1, Paulus 3 ad Vitell., “usus fructus est ius alienis rebus utendi fruendi salva rerum substantia”). Al contrario, proprio nella fattispecie dell’art. 2053 c.c., un sia pure risalente approdo di legittimità, peraltro tuttora convincente ed al quale il Collegio intende assicurare continuità, ha ammesso la coesistenza della responsabilità di nudo proprietario ed usufruttuario, poiché, quando il proprietario di edificio pur senza perderne l’ingerenza, non trae temporaneamente dalla cosa alcuna utilità perché il godimento spetta ad un terzo, come accade nel caso che il contenuto del dominio sia limitato o compreso dall’usufrutto, la presunzione – o, se si preferisce, la responsabilità sostanzialmente oggettiva – stabilita dall’art. 2053 c.c. per la rovina dell’edificio opera a carico dei titolari dei due distinti diritti; ne consegue che, in tale ipotesi, il proprietario e l’usufruttuario sono obbligati in solido al risarcimento, ai sensi dell’art. 2055 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza N. (Omissis)3 del 07/05/1957).
A questo riguardo, non giova all’odierna resistente la fisiologica distinzione tra un nudo proprietario e un usufruttuario, poiché rispetto ad essi ben può predicarsi un concorso ai sensi dell’art. 2055 c.c., ciascuno per il rispettivo titolo di responsabilità. Sul punto, mette conto osservare che, alla luce della ferma giurisprudenza di questa Corte (ex ceteris, Sez. U, Sentenza n. 13143 del 27/04/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 26736 del 15/10/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 9969 del 16/04/2025), ai fini della responsabilità solidale di cui all’art. 2055, comma 1, c.c., norma sulla causalità materiale integrata nel senso dell’art. 41 c.p., è richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità, in quanto la norma considera essenzialmente l’unicità del fatto dannoso e riferisce tale unicità unicamente al danneggiato, senza intenderla come identità delle norme giuridiche violate; la fattispecie di responsabilità implica che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte, caso per caso, in modo da potersi escludere se a uno degli antecedenti causali possa essere riconosciuta efficienza determinante e assorbente tale da escludere il nesso tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ridotti al semplice rango di occasioni.
La Corte dunque così conclude: “sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del ricorso incidentale, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, che in modo non corretto ha omesso di esaminare nel merito l’alternativa o concorrente domanda, fondata sul diverso titolo di responsabilità di cui all’art. 2053 c.c., dispiegata dagli originari attori e per nulla incompatibile col diverso titolo di responsabilità per danni da cose in custodia, l’uno e l’altro riposando su differenti presupposti di fatto e di diritto ed essendo sottoposti a diversificati regimi probatori e di cause di esenzione“




