Il Tribunale di Palermo, in prime cure, aveva accertato che il convenuto, nella qualità di avvocato dell’attrice, impugnando una sentenza della Commissione Tributaria Provinciale aveva riproposto le medesime doglianze avanzate con il ricorso in primo grado, senza articolare censure alla specifica statuizione di inammissibilità contenuta nella suddetta sentenza (fondata sulla violazione del termine per proporre il ricorso e quindi, argomentata sul computo dei giorni intercorsi tra la notifica della cartella esattoriale impugnata e la notifica del ricorso introduttivo), ponendo in essere una condotta in violazione del dovere di diligenza ex art. 1176, comma 2, c.c., ma aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla stessa attrice, sul rilievo che non vi era la prova del nesso eziologico tra la condotta negligente e il danno lamentato e, in particolare, la prova che se l’appello fosse stato ritualmente proposto, consentendo l’esame nel merito dei motivi di gravame eventualmente dedotti, la controversia promossa contro l’Agenzia delle Entrate avrebbe avuto esito favorevole; viceversa, aveva accolto la domanda subordinata di risoluzione per inadempimento del contratto d’opera professionale e, conseguentemente, condannato il convenuto a restituire il compenso percepito per la prestazione professionale, ravvisando un inadempimento di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c. nella condotta negligente delineata nella suddetta decisione (proposizione di un gravame inammissibile); aveva dichiarato assorbita la domanda di garanzia avanzata dal professionista nei riguardi della compagnia di assicurazioni Generali Italia Spa, stante il rigetto della domanda risarcitoria, poiché la condanna alla restituzione del compenso non rientrava nella copertura assicurativa, ma condannava la stessa compagnia assicurativa a tenere indenne dalla condanna al pagamento delle spese di lite inflitte al proprio assicurato.
Il ricorrente (avvocato) impugnando la decisione avanti la Corte di Cassazione lamentava che la declaratoria di risoluzione contrattuale per inadempimento sarebbe viziata sotto il profilo giuridico, posto che la sentenza di primo grado aveva “giustamente” affermato l’insussistenza di pregiudizi risarcibili, ritenendo tuttavia di dichiarare la risoluzione del contratto professionale in esame e affermando la sussistenza di un inadempimento di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c., ma – prima di rilevare ciò – aveva altresì esposto che “deve… escludersi la sussistenza – alla stregua del criterio civilistico della preponderanza dell’evidenza – di un nesso causale tra i danni lamentati dall’attrice e la condotta negligente /o imprudente posta in essere dal professionista dalla stessa incaricato“.
Condividendo la decisione del Tribunale, la Corte territoriale aveva infatti affermato che: “giustamente il Tribunale ha ritenuto che integra inadempimento di non scarsa importanza tale condotta, chiaramente contraria alla diligenza esigibile dal professionista ex art. 1176 c.c., tenuto conto che la scelta dei motivi di appello alla sentenza della C.T.P. non appare connaturata di particolare difficoltà e complessità, sicché sarebbe stata sufficiente una diligenza media per indirizzare l’appello correttamente verso motivi ammissibili, cioè specificamente orientati alla intempestività del ricorso in primo grado per violazione del termine di 60 gg.“. La Corte ha, poi, concluso che: “il profilo del risarcimento del danno e delle restituzioni conseguenti alla risoluzione retroattiva sono distinti e separati e si basano su presupposti differenti: la mancanza di danno risarcibile, qui dovuta più propriamente alla mancanza di nesso causale, non interferisce con la restituzione del compenso, conseguente alla retroattività della risoluzione giudiziale“.
La parte ricorrente sosteneva che la declaratoria della risoluzione contrattuale sarebbe tuttavia infondata, non potendo essa coesistere con l’insussistenza di pregiudizi a carico della parte che la richiede (richiama in proposito alcuni precedenti di legittimità, tra l’altro, Cass. Sez. 2 15/12/2016 n. 25894); in particolare, ove in merito alla gravità dell’inadempimento emerga che l’esecuzione della prestazione non avrebbe in nulla mutato la sfera giuridica e personale di colui che di essa era creditore, non potrebbe esservi alcuna grave alterazione del sinallagma contrattuale e, dunque, nessun effetto risolutivo potrebbe prodursi. Sotto altro aspetto, il ricorrente evidenziava che sarebbe contrario alla buona fede contrattuale negare l’adempimento della propria prestazione, nella consapevolezza di non aver patito tangibili pregiudizi, e quindi di non aver visto inciso il proprio interesse alla stipulazione del contratto professionale e ciò, soprattutto, nell’espletamento da parte del professionista di una prestazione di mezzi e non di risultato.
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 27 novembre 2025 n.310933, ritiene inammissibile il motivo del ricorso, rilevando che: “si è al cospetto di una censura formulata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., priva degli elementi necessari per verificare la denunciata violazione. Nello specifico, il ricorrente, pur indicando la pretesa violazione delle evocate norme, si limita a ribadire quanto già censurato con il gravame d’appello, riproponendo la prospettazione delle medesime censure disattese sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello, riportando le ragioni da questi stessi offerte ma non contrastandole in concreto, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 4 c.p.c., (Cass. 24/09/2018, n. 22478; in precedenza, Cass. 21/03/2014, n. 6733; Cass. 15/03/2006, n. 5637); nel caso di specie, parte ricorrente, si è limitata a rappresentare l’oggetto delle proprie originarie domande e delle proprie successive doglianze. A quanto precede va aggiunto che la Corte di merito, in base ad un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede, ha confermato la decisione del Tribunale che ha ritenuto integrante inadempimento di non scarsa rilevanza, in rapporto all’interesse della controparte, la condotta del legale e ha, quindi, risolto il contratto tra il professionista e la cliente e, in applicazione dell’art. 1458 c.c., ha ritenuto sussistente l’obbligo del professionista inadempiente a restituire il corrispettivo ricevuto in forza del contratto risolto, precisando che la mancanza di danno risarcibile, in difetto di nesso causale, non interferisce con la restituzione del compenso conseguente alla retroattività della risoluzione giudiziale“.




