La contestazione formulata nei confronti della sentenza impugnata consisteva nella mancata applicazione del corretto criterio per la liquidazione del risarcimento conseguente al cd. danno differenziale. Ed invero la corte territoriale aveva rigettato il motivo di gravame dell’attrice affermando che: “il ricorso al criterio del danno differenziale… è stato ipotizzato dal CTU per pervenire alla quantificazione finale del 40% di invalidità permanente (ipotizzando una invalidità complessiva attuale del 60% e una percentuale del 20% invece quale esito invalidante di qualsiasi operazione all’anca); ma, a parte i valori proposti dal CTU, il punto è che nulla impone di seguire necessariamente tale criterio nella quantificazione finale del danno (ovvero, il che è lo stesso, la quantificazione finale può essere operata considerando in maniera implicita, ma altrettanto valida ed efficace, il criterio in questione; come appunto evidentemente fatto dal CTP dell’attrice appellante nella propria perizia agli atti)“.
Tale statuizione è stata ritenuta dalla Corte di Cassazione (sentenza del 1 dicembre 2025 n. 31378 – relatore: dott. Augusto Tatangelo) non conforme ai consolidati principi di diritto affermati dalla stessa in tale materia. Il Collegio ricorda infatti che: “il criterio da applicare nella determinazione finale della liquidazione del risarcimento del danno biologico, in caso di danno cd. “differenziale”, è proprio quello utilizzato, tecnicamente, dal consulente tecnico di ufficio (al di là delle percentuali di invalidità dallo stesso considerate a tal fine) e non è affatto possibile utilizzare tale criterio in “maniera implicita”, come ipotizza la stessa Corte d’Appello abbia fatto il consulente tecnico di parte attrice. Il criterio in questione riguarda, infatti, la liquidazione dell’importo risarcitorio (che è questione strettamente giuridica, implicando liquidazione del danno secondo equità, ai sensi dell’art. 1226 c.c.), non l’individuazione della percentuale di invalidità (che è questione tecnica medico-legale), e si fonda sul rilievo che, in base ai più comuni criteri cd. tabellari, l’importo da liquidare per una invalidità permanente complessiva – qui pare del 28% – non corrisponde affatto a quello da liquidare per una invalidità “differenziale” di pari entità, che deve avvenire pertanto mediante il calcolo della somma spettante, quale risarcimento, per la percentuale di invalidità complessiva, da cui va detratta quella corrispondente all’invalidità che residuerebbe al danneggiato anche in mancanza del fatto illecito.
Pertanto, la liquidazione del risarcimento per cui si ritengano (il che è ovviamente valutazione di merito) i criteri tabellari a “punto variabile”, in caso di danno “differenziale” non può mai effettuarsi sulla base di una “implicita” considerazione ai fini dell’indicazione della percentuale di invalidità della vittima, ma richiede necessariamente, sempre e comunque:
a) l’individuazione della percentuale di invalidità complessivamente residuata al danneggiato;
b) l’individuazione della percentuale di invalidità che, ipoteticamente, avrebbe presentato il danneggiato anche nel caso in cui non vi fosse stata la condotta colposa del danneggiante;
c) la determinazione degli importi di liquidazione del danno, in termini monetari, corrispondenti a tali due fattori;
d) la sottrazione, dall’importo della liquidazione del danno corrispondente all’invalidità complessivamente residuata al danneggiato, dell’importo della liquidazione del danno corrispondente all’invalidità che, ipoteticamente, avrebbe subito il danneggiato anche qualora non vi fosse stata la condotta colposa del danneggiante.
I principi così riassunti nella giurisprudenza di questa Suprema Corte sono ormai consolidati (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 26851 del 19/09/2023: “la liquidazione del danno biologico cd. differenziale, rilevante qualora l’evento risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, va effettuata, in base ai criteri della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., sottraendo dalla percentuale complessiva del danno, interamente ascritta all’agente sul piano della causalità materiale, la percentuale di danno non imputabile all’errore medico, poiché, stante la progressione geometrica e non aritmetica del punto tabellare di invalidità, il risultato di tale operazione risulterà inevitabilmente superiore a quello relativo allo stesso valore percentuale, ove calcolato a partire dal punto 0, come accadrebbe in caso di frazionamento della causalità materiale”; conforme Sez. 3, Ordinanza n. 20894 del 26/07/2024: “la liquidazione del danno biologico c.d. differenziale, rilevante ove l’evento sia riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, va effettuata, in base ai criteri della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., convertendo la percentuale di invalidità ascritta all’agente sul piano della causalità materiale e quella non imputabile all’errore medico in somme di denaro, per poi procedere a sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l’esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la cd. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto – fattispecie in cui la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che aveva erroneamente proceduto alla liquidazione del danno biologico differenziale, operando il calcolo monetario in base al valore percentuale del punto 35 e, dunque, muovendo dal punto 0”)“.
Nel caso come in esame l’individuazione di una percentuale di invalidità che esprima da sola il danno alla integrità fisica della vittima, da tradursi poi in termini monetari, contrasta i suddetti principi, per cui il risultato finale dell’operazione di liquidazione equitativa del danno non può che ritenersi in violazione dell’art. 1226 c.c.




