La Corte di Cassazione (sentenza del 9 dicembre 2025 2025 n. 32000) richiama la propria consolidata giurisprudenza, in tema di responsabilità del prestatore di opera intellettuale, affermando che la condanna per negligente svolgimento dell’attività professionale: “presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente” (Cass. n. 10966 del 2004; n. 34787 del 2022), con la conseguenza che la mancanza di elementi probatori, atti a giustificare una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell’attività del prestatore d’opera, induce ad escludere l’affermazione della responsabilità del legale, in quanto la responsabilità dell’esercente la professione forense non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se, qualora l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone” (v., ex multis, Cass. n. 11901 del 2002; n. 9917 del 2010; n. 22376 del 2012; n. 2638 del 2013; n. 1984 del 2016; n. 25112 del 2017; n. 13873 del 2020; n. 4655 del 2021; n. 33466 del 2022).
Secondo altrettanto costante insegnamento il giudizio sul nesso causale tra condotta omissiva del professionista ed esito negativo della prestazione – da compiere, come detto, sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica circa l’esito della causa ove fosse stata adottata la condotta omessa – è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ratione temporis vigente; è vero, infatti, che, nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale è una valutazione connotata da un contenuto giuridico, fondata cioè su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico, ma nel giudizio di responsabilità professionale dell’avvocato tale valutazione, ancorché in diritto, assume i connotati di un giudizio di merito, il che esclude che questa Corte possa essere chiamata a controllarne l’esattezza in termini giuridici (in tal senso, Cass. 13/02/2014, n. 3355, secondo cui “nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito.
Circa il probabile esito dell’azione giudiziale malamente intrapresa o proseguita, sebbene abbia contenuto tecnico-giuridico, costituisce comunque valutazione di un fatto, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione”; v. anche, in senso conforme, Cass. 20/08/2015, n. 17016; 28/06/2016, n. 13292; 8/11/2016, n. 22606; 26/09/2017, n. 22420; 20/03/2018, n. 6862; 26/06/2018, n. 16803; 12/07/2018, n. 18455; 14/11/2022, n. 33466; 25/07/2023, n. 22451); da ultimo, Cass. 11/11/2024, n. 28903, ha ribadito tale principio facendo salva tuttavia l’ipotesi della sindacabilità della decisione di merito sub specie di error iuris per vizio di sussunzione nella sola eccezionale ipotesi in cui la valutazione del giudice di merito si fondi su un presupposto manifestamente e totalmente errato di modo che la questione posta al giudice del merito sia di puro diritto“
Nel caso di specie le censure mosse si collocavano ampiamente al di fuori di tale paradigma per attingere il piano della valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità. Il ragionamento giuridico addotto dai giudici di merito per escludere il nesso causale non poteva infatti ritenersi connotato nei termini suindicati di manifesta e irriducibile abnormità, al contrario palesandosi informato ad una interpretazione del quadro normativo che lo stesso ricorrente ha evidenziato conforme al dato positivo tanto che per contestarne la correttezza è costretto a far leva su una ordinanza della C.G.A. – peraltro pronunciata in data successiva a quella della sentenza qui impugnata – che ha sollevato q.l.c. delle norme regionali evocate. La Corte rileva in proposito che: “era da escludere – già a priori e in astratto – potesse anche solo ipotizzarsi un rilievo condizionante nel presente giudizio dell’esito della questione suddetta tale da imporne la sospensione in attesa della pronuncia della Corte costituzionale: quand’anche, infatti, fosse stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di taluna delle norme nel senso prospettato dal giudice rimettente e auspicato dall’odierno ricorrente, non se ne sarebbe potuto comunque far derivare alcuna conseguenza ai fini della decisione del presente giudizio di legittimità, non consentendo un tale esito di valicare il suindicato limite di insindacabilità della valutazione di merito, anteriormente operata, del giudice a quo circa la sussistenza di nesso causale“.




