La Corte di Cassazione (sentenza del 9 dicembre 2025 n. 31998) rileva di aver reiteratamente affermato, sin da epoca ormai risalente, che: “dal contratto stipulato tra il paziente e la struttura sanitaria che ne accetta il ricovero derivano naturalmente, a carico della seconda, ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., oltre all’obbligazione principale di apprestare al primo le cure richieste dalla sua condizione (che la struttura adempie mediante il personale sanitario, rispondendone ex art. 1228 cod. civ.) – e oltre alle obbligazioni accessorie di carattere lato sensu organizzativo-alberghiero (che la struttura adempie direttamente, rispondendone ex art.1218 cod. civ.) -, anche la specifica obbligazione di assicurare la protezione, mediante sorveglianza, delle persone di menomata o mancante autotutela, per le quali detta protezione costituisce parte essenziale della cura (Cass. n.6707 del 1987; Cass. n. 11038 del 1997; Cass. 12995 del 2005; Cass. n.22818 del 2010; Cass. 10832 del 2014; Cass. n.22331 del 2014; Cass. n. 25288 del 2020; Cass. n. 13037 del 2023).
Peraltro, l’estensione e il contenuto della prestazione che forma oggetto di questa specifica obbligazione non sono sempre gli stessi ma variano in relazione alle circostanze del caso concreto, avuto riguardo allo specifico interesse creditorio cui essa è funzionalmente correlata (arg. ex art.1174 cod. civ.). L’obbligazione in parola trova infatti il suo fine (di protezione) nell’esigenza di prevenire il rischio che il paziente possa causare danni a terzi o subirne; di conseguenza la prestazione (di sorveglianza) non è predeterminata in astratto nella sua intensità e nella sua estensione ma deve essere espletata, in esecuzione di ogni singolo contratto di ricovero, in modo adeguato e coerente rispetto alle specifiche condizioni psico-fisiche del paziente (cfr., in particolare, Cass. nn. 25288 del 2020 e 13037 del 2023, citt.) e alla condizione oggettiva in cui egli si trovi nell’ambito della struttura sanitaria. L’obbligazione di vigilanza, dunque, è tanto più stringente, quanto maggiore è il rischio che il degente possa causare danni o patirne. In funzione della valutazione di questo rischio, rileva l’età, l’incapacità di intendere e di volere e la malattia fisica o psichica del paziente.
Tuttavia, ognuna di queste condizioni costituisce solo un indice di valutazione del rischio che il degente causi o subisca danni, ma nessuna di esse integra una condizione necessaria in funzione della insorgenza e dell’estensione dell’obbligo di sorveglianza, atteso che la prima si determina ipso facto dall’accettazione del paziente (cfr. Cass. Cass. n.22331 del 2014, cit.), mentre la seconda va apprezzata in relazione ad ogni singolo caso concreto, sicché essa può assumere la massima intensità (richiedendo una sorveglianza costante per evitare che il paziente faccia del male a sé stesso o ad altri) anche quando si tratti di persona perfettamente capace di intendere e di volere (ad es., perché, rispettivamente, non autosufficiente per malattia fisica o pericoloso per malattia mentale: cfr., al riguardo, ex professo, Cass. n.22331 del 2014, cit.)“.
Avuto così riguardo alla regula iuris che impone di valutare l’estensione e il contenuto dell’obbligazione di vigilanza gravante sulla struttura sanitaria in relazione alle circostanze del caso concreto, affinché essa sia assolta in modo adeguato e coerente rispetto alle condizioni subiettive e oggettive del paziente e in funzione della prevenzione del rischio che egli possa causare danni a terzi o subirne, il Collegio ritiene non censurabile la prima ratio decidendi della statuizione impugnata la quale “contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, nell’escludere l’inadempimento dell’ente ospedaliero, non ha erroneamente disapplicato il principio di diritto affermato dal precedente di questa Corte n. 6707 del 1987, ma ha motivatamente tenuto conto della peculiarità della fattispecie considerata da quella pronuncia, solo apparentemente sovrapponibile a quella oggetto dell’attuale esame. Nel richiamato precedente, infatti, il giudizio di responsabilità della struttura sanitaria, per i danni derivati dal rapimento di un neonato in essa ricoverato, trovava trovato fondamento nell’accertamento dell’omessa vigilanza del “nido” in cui egli era custodito senza l’assistenza di un genitore né di altri soggetti diversi dal personale dell’ospedale: in quel caso, le circostanze subiettive ed oggettive del paziente (neonato affidato unicamente all’assistenza dei sanitari della struttura) imponevano di attribuire la massima intensità all’obbligo di vigilanza che, ovviamente, ove doverosamente esercitata in modo costante, avrebbe consentito di impedire, secondo un giudizio di probabilità, l’evento dannoso invece verificatosi; in particolare il giudice del merito aveva accertato che il bambino, dopo la nascita, non era stato posto nella stessa stanza della madre, bensì nel cosiddetto “nido”, un ambiente cioè riservato ai neonati, e che la porta di accesso a questo ambiente era priva di serratura e di facile rotazione, dal personale, non dall’interno, bensì dall’esterno, attraverso la vetrata di osservazione; inoltre la porta del “nido” non rimaneva chiusa – proprio perché priva di serratura – anche nelle ore di apertura dell’ospedale all’accesso del pubblico per la visita ai ricoverati da parte di parenti e amici. Nella fattispecie oggetto del presente giudizio, invece, il neonato era stato affidato all’assistenza della madre, persona di giovane età perfettamente compos sui, la quale era sua volta assistita dalla propria sorella, sicché non poteva esigersi dalla struttura sanitaria, in relazione alle circostanze del caso concreto, l’espletamento di un servizio di sorveglianza continua nei confronti del minore“.
La surricordata regula iuris rende incensurabile anche la seconda ratio decidendi posta a fondamento della statuizione impugnata. Ed invero: “diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, i quali hanno addirittura ipotizzato a carico della struttura ospedaliera la violazione di un obbligo giuridico di garanzia, va ribadito che l’obbligazione di sorveglianza e protezione del paziente è funzionale a prevenire il prevedibile pericolo che egli, per le condizioni di età, di incapacità o di infermità fisica o mentale in cui si trova, possa fare del male a sé stesso o ad altre persone, oppure possa cagionare danni a cose; vengono quindi in considerazione tutti i rischi potenzialmente incombenti sul degente, a condizione che rientrino nello spettro della prevedibilità (cfr. ancora Cass. n.22331 del 2014, cit.). Non è dunque censurabile in iure, salva l’insindacabilità del motivato accertamento de facto, il giudizio della Corte di merito, la quale, in coerente applicazione delle regole di struttura del nesso causale fondate su principio della causalità adeguata, ha escluso dal novero delle conseguenze normali (nonché prevedibili: arg. ex art. 1225 cod. civ.) dell’eventuale inadempimento dell’obbligo di sorveglianza il rapimento del degente neonato affidato all’assistenza della genitrice in regime di rooming in (oltre che di altro parente), trattandosi, non della realizzazione di un rischio specifico creato da quell’eventuale inadempimento, ma di un evento dannoso ascrivibile interamente alla condotta del terzo autore del rapimento, quale condotta illecita (dolosa) sopravvenuta, idonea ad interrompere la relazione causale tra l’inadempimento e l’evento e a porsi come causa esclusiva di questo“




