Il ricorrente denunciava l’erronea applicazione dell’art. 14 c.p.c. da parte della Corte di Appello, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, nel confermare la condanna alle spese di lite a suo carico, aveva individuato lo scaglione di riferimento per la liquidazione delle stesse in quello compreso tra Euro 1.100,00 ed Euro 5.200,00, avendo formulato una domanda per il risarcimento di “euro 1.000,00 o in quel minor importo meglio ritenuto di giustizia e/o di equità“. La Corte di Cassazione (sentenza del 9 dicembre 2025 n. 31996) ritiene il motivo fondato.
Ai fini della liquidazione dei compensi a carico del soccombente il primo comma dell’art. 5 del D.M. n. 55 del 2014 richiama le norme del codice di procedura civile. Occorre, dunque, aver riguardo all’art. 14 cod. proc. civ., il quale al primo comma (primo periodo) dispone che “nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili, il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore“. Nella specie, quindi: “il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese andava, quindi, commisurato esclusivamente all’importo richiesto a quel titolo“. Il Collegio rileva che si trattava, dunque, “di ipotesi diversa da quella considerata dall’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla controricorrente secondo cui “ai fini della determinazione dello scaglione degli onorari di avvocato per la liquidazione delle spese di lite a carico della parte la cui domanda di pagamento di somme o di risarcimento del danno sia stata rigettata, il valore della causa, che va determinato in base al disputatum, deve essere considerato indeterminabile quando, pur essendo stata richiesta la condanna di controparte al pagamento di una somma specifica, vi si aggiunga l’espressione “o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia” o espressioni equivalenti, poiché, ai sensi dell’art. 1367 c.c., applicabile anche in materia di interpretazione degli atti processuali di parte, non può ritenersi, a priori che tale espressione sia solo una clausola di stile senza effetti, dovendosi, al contrario, presumere che in tal modo l’attore abbia voluto indicare solo un valore orientativo della pretesa, rimettendone al successivo accertamento giudiziale la quantificazione” (Cass. n. 10984 del 2021), orientamento peraltro bensì conforme da altri precedenti (v. Cass. n. 19455 del 2018; n. 15306 del 2018; n. 6053 del 2013), ma contrastato da Cass. Sez. 3, n. 35966 del 27/12/2023, secondo cui “la considerazione che, laddove la parte precisi la sua domanda con la richiesta di una determinata somma, anche laddove aggiunga contestualmente il riferimento ad una “somma maggiore o minore ritenuta di giustizia”, deve dirsi certamente determinato il valore del disputatum, almeno nel suo importo minimo, in quanto la somma “eventualmente minore ritenuta di giustizia” può costituire solo una domanda subordinata: come dimostra il fatto che, in una situazione del genere, laddove intervenisse una condanna per importo inferiore a quello minimo richiesto espressamente dalla parte, di certo non potrebbe ritenersi inammissibile l’appello volto ad ottenere il riconoscimento del maggiore importo che era espressamente stato domandato“.
Entrambi tali indirizzi, infatti, pur tra di loro in contrasto, fanno riferimento a casi in cui la richiesta è riferita a una somma determinata o, in alternativa, a quella “maggiore o minore ritenuta di giustizia”; nel caso in esame l’alternativa posta in domanda è, invece, solo per una somma “minore” non anche per una eventualmente “maggiore”: se vi è, dunque, incertezza sull’importo richiesto questa riguarda il limite minimo dello stesso, non quello massimo che resta comunque determinato in Euro 1.000; assume convergente e dirimente rilievo, peraltro, il principio di diritto che, componendo il suindicato contrasto, è stato di recente affermato dalle Sezioni Unite, secondo il quale “nel caso di integrale rigetto della domanda di condanna al pagamento di una somma determinata di denaro, contenente l’indicazione alternativa del “diverso importo che dovesse risultare dovuto in corso di causa”, la liquidazione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa si determina sulla base dello scaglione corrispondente alla somma specificamente indicata dall’attore, ove lo stesso attribuisca compensi superiori rispetto a quelli accordati per le cause di valore indeterminabile (Fattispecie relativa a una domanda di risarcimento del danno nella quale, alla specifica quantificazione della somma invocata, si accompagnava il riferimento al “diverso importo che dovesse essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c.)”. (Cass. Sez. U. 23/07/2025, n. 20805, Rv. 675638 -01)“;
Nel caso in esame la somma specificamente indicata è di Euro 1.000 e non può trovare applicazione lo scaglione delle cause di valore indeterminabile poiché la diversa indicazione operata dall’avvocato è nel senso di “importo minore” a quello specificamente indicato. Per la Corte quindi: “occorreva, dunque, far riferimento ai parametri stabiliti per cause di valore non superiore ad Euro 1.100 e non a quelli relativi allo scaglione superiore delle cause di valore compreso tra Euro 1.100,00 ed Euro 5.200,00, erroneamente applicato dal Tribunale con decisione confermata dai giudici d’appello“;




