La responsabilità del fornitore in tema di prodotto difettoso

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Un automobilista conveniva davanti al Tribunale di Bologna la Ford Italia Spa quale produttrice della propria auto , chiedendone la condanna al risarcimento dei danni che l’attore avrebbe subito per un sinistro automobilistico in cui l’air-bag della vettura non aveva funzionato. Si costituiva la Ford Italia negando di essere la produttrice, tale qualificando Ford Werke Aktiengesellschaft – appartenente al suo gruppo industriale -, come sarebbe emerso dalla fattura di vendita che allo scopo Ford Italia produceva. Essa, inoltre, negava di essere responsabile del difetto del prodotto lamentato, in quanto il fornitore non ne risponderebbe se il produttore è individuato e comunque ne risulta comunicata l’identità al consumatore, come sarebbe avvenuto nel caso di specie. Il Tribunale accoglieva nell’an debeatur la domanda attorea, dichiarando la responsabilità extracontrattuale della convenuta per difetto di fabbricazione dell’air-bag, sentenza che veniva confermata dalla Corte di Appello, che prendeva le mosse dalla condivisione dell’interpretazione dell’articolo 4 D.P.R. 224/1988 adottata dal Tribunale nel senso che “estende al fornitore la responsabilità del produttore quando questi non sia individuato” per “assicurare al consumatore una tutela più ampia“, cosicché il fornitore, per “liberarsi dalla responsabilità in questione“, non risulta obbligato soltanto a indicare i dati identificativi del produttore, ma deve altresì provvedere a chiamarlo in causa “al fine della sua ‘individuazione’ (accertamento) in sede giudiziale e della propria conseguente estromissione“. L’interesse processuale alla chiamata appartiene a chi mira a essere estromesso, qui Ford Italia, “la quale non vi ha, invece, provveduto“. Per questo correttamente “il fornitore Ford Italia è stato sottoposto alla stessa responsabilità“, non avendo inciso l’essere stata tale parte citata quale fornitrice, in quanto “la sua posizione era equiparata a quella del produttore non evocato, mentre parte attrice non era onerata dalla chiamata in causa“. E “per il resto” la domanda attorea “è rimasta identica nel petitum dall’inizio alla fine e la Ford Italia Spa ha pienamente svolto le proprie difese di merito in vece del produttore“.

Ad avviso della Corte d’Appello, dunque, l’onere di individuazione del produttore normativamente imposto al fornitore non si arresta all’indicarne i dati identificativi, bensì include la chiamata in causa in modo che si possa verificare in sede giurisdizionale se i dati identificativi forniti siano corretti, id est che il chiamato sia davvero il produttore. Ciò denoterebbe un intento di rafforzamento della tutela del consumatore, la cui posizione viene presidiata, nel caso in cui il produttore non sia stato “immesso” nel giudizio, dall’assunzione della responsabilità del produttore da parte del fornitore che avrebbe dovuto introdurvelo e invece ha omesso di chiamarlo oppure ha chiamato un soggetto che non è in realtà il produttore. Per la corte territoriale, dunque, una garanzia ibrida tra il mezzo processuale e quello, in realtà fonte di impulso di tutto l’insieme, sostanziale.

La Corte di Cassazione (con la sentenza del 15 dicembre 2025 n. 32673) passa al vaglio il ricorso avanzato dalla Ford, alla luce ora dell’intervento della CGUE, preliminarmente rimarcando: “l’erroneità dell’interpretazione, adottata dal giudice di merito, dell’articolo 4 D.P.R. 224/1988 nel senso che il fornitore abbia l’obbligo non solo di rendere noti al consumatore i dati identificativi del produttore, ma altresì di chiamare in giudizio quest’ultimo “al fine della sua ‘individuazione’ (accertamento) in sede giudiziale e della propria conseguente estromissione“.

L’art. 4 del D.P.R. 24 maggio 1988 n. 224 (Attuazione della direttiva CEE n. 85/374 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi) statuisce al primo comma: “Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, se abbia omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto“. Il secondo comma descrive il contenuto che deve essere versato nella richiesta del consumatore e il terzo assegna al fornitore che la richiesta non abbia ricevuta prima dell’avvio del giudizio in cui è parte convenuta il termine di tre mesi (aumentabile nel caso del quarto comma) per rendere noti all’attore i dati del produttore. È il quinto comma, presumibilmente, la fonte dell’obbligo ravvisato dal giudice d’appello in capo al fornitore, poiché così stabilisce: “Il terzo indicato come produttore o precedente fornitore può essere chiamato nel processo a norma dell’art. 106 del codice di procedura civile e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata comparisce e non contesta l’indicazione. Nell’ipotesi prevista dal comma terzo, il convenuto può chiedere la condanna dell’attore al rimborso delle spese cagionategli dalla chiamata in giudizio“.

Secondo il Collegio: “da un lato il riferimento alla estromissione, collocato immediatamente dopo la previsione della chiamata ex articolo 106 c.p.c., e dall’altro quello alla condanna al rimborso delle spese processuali potrebbero avere effettivamente suscitato l’interpretazione del giudice d’appello nel senso che la chiamata sia onere del fornitore convenuto. Si tratta, però, di una deformante lettura della norma dato che non la connette proprio con l’articolo 106 c.p.c., il quale è chiaramente incompatibile con una siffatta interpretazione poiché fin dall’incipit la osta consentendo a tutte le parti già costituite di avvalersi – in presenza naturalmente dei relativi presupposti sostanziali – dell’istituto della chiamata in causa (“Ciascuna parte può chiamare…”).

Va peraltro rilevato – e qui risiede il nucleo della questione da dirimere – che la pronuncia impugnata, pur motivata in modo non del tutto limpido, lascia comunque intendere di reputare sussistente la responsabilità di Ford Italia per il suo trovarsi in una posizione “equiparata a quella del produttore non evocato”. La presenza di questo tema – che significa applicazione (anche) dell’articolo 3 D.P.R. 224/1988 – come non confinato in effetti alla chiamata in causa è stata avvertita dalla ricorrente, che pur la nega in tesi; ed è una presenza agevolmente ancora sostenibile considerato che, pur avendo poi qualificato il giudice di merito diversamente la domanda, l’attore ha espressamente convenuto Ford Italia come produttrice, e non come fornitrice. La stessa ricorrente, nella premessa del ricorso, espone che “Le.Fa. conveniva in giudizio la Ford e, sul presupposto che questa fosse la produttrice del veicolo Ford Mondeo Ghia…, ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno da lui subito in occasione di un incidente automobilistico nel quale il sistema air-bag del veicolo non aveva funzionato”, per poi riportare la sua immediata contestazione per cui produttrice sarebbe stata Ford WAG.

È dunque prospettabile, si ripete, che l’attore abbia in effetti agito nei confronti di Ford Italia non quale fornitrice, bensì quale produttrice di un’automobile che sarebbe stata difettosa; e il giudice di legittimità, in applicazione dell’articolo 384, quarto comma, c.p.c., potrebbe respingere il ricorso correggendo la motivazione della sentenza che ne è oggetto, in quanto, se Ford Italia è stata convenuta come produttrice, la sua condanna al risarcimento come correlata “alla stessa responsabilità del produttore” (così si esprime, nella stringata motivazione della sua pronuncia, la corte territoriale) può confermarsi. Tuttavia, la qualificazione come produttrice per Ford Italia non è sostenibile sulla base dell’omessa chiamata in causa di Ford WAG – che, come si è visto, non è onere suo -, bensì sulla base dei rilievi fatti propri in una vicenda affine (che si considererà infra) esternati da Cass. sez. 3, ord. 7 dicembre 2017 n. 29327.

E infatti la ricorrente ha affrontato la relativa tematica, incluso appunto detto arresto, giungendo a proporre, in subordine, i già sopra riportati quesiti diretti alla CGUE.

L’articolo 3 D.P.R. 224/1988, rubricato Produttore, dopo avere al primo comma definito: “Produttore è il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente e il produttore della materia prima”, estende la qualità di produttore al terzo comma: “Si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione”. Questa norma rispecchia direttamente il contenuto della direttiva 85/374/CEE, sia con riferimento agli introduttivi considerando, sia con riferimento all’articolo 3 della direttiva stessa.

Dei considerando anteposti dalla direttiva agli articoli, due sono attinenti al caso in esame:”considerando che ai fini della protezione del consumatore è necessario considerare responsabili tutti i partecipanti al processo produttivo se il prodotto finito o la parte componente o la materia prima da essi fornita sono difettosi: che per lo stesso motivo è necessario che sia impegnata la responsabilità dell’importatore che introduca prodotti nella Comunità europea e quella di chiunque si presenti come produttore apponendo il suo nome, marchio o altro segno distintivo o fornisca un prodotto il cui produttore non possa essere identificato”;”considerando che, se dello stesso danno sono responsabili più persone, la protezione del consumatore implica che il danneggiato possa chiedere il risarcimento integrale del danno ad uno qualsiasi dei responsabili”.

In questo quadro, l’articolo 3 della direttiva 85/374/CEE così statuisce:

“1. Il termine “produttore” designa il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome,… marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso.

2. Senza pregiudizio della responsabilità del produttore, chiunque importi un prodotto nella Comunità europea ai fini della vendita, della locazione, del “leasing” o di qualsiasi altra forma di distribuzione nell’ambito della sua attività commerciale, è considerato produttore del medesimo ai sensi della presente direttiva ed è responsabile allo stesso titolo del produttore.

3. Quando non può essere individuato il produttore del prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi il nome dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato il nome del produttore.”

Nel caso in esame è dunque sostenibile che Ford Italia Spa venga a condividere la qualità di produttrice di Ford WAG “apponendo il proprio nome”, in modo del tutto evidente, al prodotto, così realizzando quella “autopresentazione” cui si riferisce l’articolo 3, terzo comma, D.P.R. 224/1988, sulla scia del primo comma dell’articolo 3 della direttiva 85/374/CEE. La questione da dipanare, peraltro, è allora come debba intendersi l’espressione “apponendo il proprio nome”: vale a dire, se l’apposizione debba essere soltanto una materiale impressione dell’elemento distintivo sul prodotto o se l’apposizione sia lato sensu, e dunque includa pure (sembra un’inversione, ma in realtà è una mera espansione) la presenza dell’elemento distintivo rinvenibile sul prodotto anche nei dati identificativi del soggetto, che in tal modo “si presenta come produttore”, oggettivamente generando una confusione di individuazione del produttore che ben può risolversi a favore del soggetto debole, il consumatore, anche se il dettato normativo non appare inequivoco, bensì compatibile con più letture.

La ricorrente, ut supra anticipato, critica Cass. ord. 29327/2017, che riguarda proprio una vicenda affine, la quale per responsabilità estesa a quella del produttore coinvolge ancora Ford Italia, per la comunanza, nelle modalità appena descritte, dell’elemento distintivo “Ford”. In sostanza, nel caso trattato da Cass. ord. 29327/2017 il ricorrente aveva lamentato l’esclusione della responsabilità del distributore per i subiti danni da prodotto qualora il prodotto sia commercializzato con marchi o segni distintivi confusivi delle posizioni di produttore e di distributore. Questa Corte, nella suddetta ordinanza, reputa la censura fondata per violazione dell’articolo 3, terzo comma, D.P.R. 224/1988 (anche in quel caso applicabile ratione temporis), norma che il giudice d’appello non avrebbe correttamente applicato “escludendo la responsabilità del distributore in un caso in cui tanto il produttore, quanto il distributore, pacificamente utilizzavano il medesimo segno distintivo”. Di qui la cassazione della pronuncia impugnata con l’assegnazione, al giudice di rinvio, del principio per cui “il distributore o l’importatore rispondono del danno causato del vizio costruttivo del prodotto, se abbiano un marchio od una ragione sociale coincidenti in tutto od in larga parte con quelli del produttore, e sotto tali segni distintivi abbiano commercializzato il prodotto”. Cass. ord. 29327/2017 si fonda in termini unicamente oggettivi sulla coincidenza, in tutto o nella parte predominante per il percipiente (questo è il significato logico, nel contesto, di “larga parte”), del marchio o della ragione sociale del produttore stricto sensu rispetto al marchio o alla ragione sociale del soggetto (distributore/fornitore, importatore), che così viene equiparato, quanto alla responsabilità verso il consumatore, al “comunista” di tali elementi distintivi.

Peraltro, nella precedente ord. interl. n. 6568/2023 pronunciata da questa Corte nella presente causa si è constatato che detta questione interpretativa avrebbe potuto essere risolvibile anche in modo diverso. Invero, nel momento in cui la sovrapponibilità, in misura assoluta o comunque realmente rilevante in termini di ordinaria percezione, dei segni e dei dati identificativi giunge ad un livello di “confusione”, da parte del consumatore, nell’identificazione del fornitore o importatore che lo dovrebbe distinguere dal produttore, l’interpretazione dell’articolo 3, primo comma, della direttiva 85/374/CEE (“Il termine ” produttore” designa il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchi marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso.”), che quanto alla seconda parte (“nonché ogni persona ecc.) pare conformemente riversato nella norma nazionale di cui all’articolo 3, terzo comma, D.P.R. 224/1988 (“”Si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione.”), si è trovato dinanzi ad un bivio.

Questa l’alternativa insorta: la tutela del consumatore rilasciata mediante l’estensione della responsabilità del produttore a chi produttore non è ma ne condivide significativi dati esterni è offerta soltanto per quando, come già si anticipava, l'”apposizione” sia una materiale impressione dell’elemento distintivo sul prodotto effettuata da chi non è produttore per volutamente fruire di un’ambiguità rispetto al produttore, oppure anche per quando il produttore e chi non è produttore condividono comunque e oggettivamente elementi alquanto consistenti nei propri dati identificativi? (Il secondo è il caso che qui ricorre, in cui sia la ricorrente sia la produttrice condividono nella loro denominazione l’elemento “Ford”, senza che la ricorrente sia attivata per apporre sul prodotto un elemento per creare confusione al consumatore). Vale a dire: la condivisione di elementi identificativi adeguati a “confondere” deve ritenersi frutto di una intenzionale specifica apposizione perché sia rafforzata la tutela del consumatore oppure anche una semplice coincidenza va ricondotta a un’attività di confondere i soggetti (“apponendo… si presenta come produttore”) da sanzionare oggettivamente con la responsabilità paritaria rispetto all’effettivo produttore?

In accoglimento della richiesta della ricorrente si è proposto alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il seguente quesito, dalla medesima prospettato: se sia conforme all’articolo 3, primo comma, direttiva 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore. Si è ritenuto che l’interpretazione della norma di cui tale quesito avrebbe chiesto risposta costituisse, invero, questione pregiudiziale rispetto al restante thema decidendum in quanto, qualora fosse risultata corretta l’interpretazione maggiormente estensiva – cioè la seconda ipotesi sopra indicata -, avrebbe dovuto giudicarsi infondato il ricorso, previa eventuale correzione/integrazione motivazionale della sentenza d’appello, mentre, in caso contrario, il ricorso avrebbe meritato accoglimento.

Con la sentenza del 19 dicembre 2024 la Corte di giustizia dell’Unione Europea, Quinta Sezione, C-157/23, Ford Italia, si è pronunciata dichiarando che l’articolo 3, par. 1, della direttiva 85/374/CEE del Consiglio del 25 luglio 1985, relativa all’avvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, va interpretato nel senso che “il fornitore di un prodotto difettoso deve essere considerato una ‘persona che si presenta come produttore’ di detto prodotto, ai sensi di tale disposizione, qualora tale fornitore non abbia materialmente apposto il suo nome, marchio o altro segno distintivo su siffatto prodotto, ma il marchio che il produttore ha apposto su quest’ultimo coincida, da un lato, con il nome di tale fornitore o con un elemento distintivo di quest’ultimo e, dall’altro, con il nome del produttore”. La Corte di Lussemburgo perviene a questo dictum come segue. 13.1 Premesso che la direttiva in questione è finalizzata ad operare “un’armonizzazione completa delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri” così che, pertanto, il loro margine discrezionale nella disciplina della responsabilità per danno da prodotti difettosi “è totalmente determinato da tale direttiva e deve essere dedotto dal tenore letterale, dalla finalità e dall’impianto sistematico di quest’ultima” (qui si invoca la sentenza 10 gennaio 2006, C-402/2003, Skov e Bilka, punti 22 e 23), il giudice afferma che “le persone contro le quali il consumatore ha il diritto di intentare un’azione in base al regime di responsabilità previsto dalla direttiva 85/374 sono enumerate agli articoli 1 e 3 di quest’ultima” in modalità “tassativa” – come già riconosciuto nell’appena citata sentenza 10 gennaio 2006, C-402/2003, Skov e Bilka, punti 32 e 33 –. Descritto, allora, il contenuto letterale dell’articolo 1 – che “imputa al produttore la responsabilità per danno da prodotti difettosi” – e dell’articolo 3, par. 1 – che “definisce il termine ‘produttore come designante, in particolare, il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente” -, la Corte unionale precisa come segue: “Sebbene, in forza dell’articolo 1 della direttiva 85/374, il legislatore dell’Unione abbia scelto di imputare, in linea di principio, al produttore la responsabilità per i danni causati dai suoi prodotti difettosi, l’articolo 3 di tale direttiva designa, tra gli operatori che hanno partecipato ai processi di fabbricazione e di commercializzazione del prodotto in questione, quelli che possono parimenti doversi assumere la responsabilità istituita da detta direttiva” (ancora si cita la già richiamata sentenza del 10 gennaio 2006, qui per i punti 29 e 30). Prosegue subito la Corte di Lussemburgo il suo percorso: “Al riguardo, occorre constatare che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 85/374 contiene, in sostanza, un’alternativa, di cui solo la prima parte riguarda la persona che è almeno parzialmente coinvolta nel processo di fabbricazione del prodotto interessato. Per contro, la seconda parte dell’alternativa designa una persona che si presenta come produttore apponendo su tale prodotto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo (v., in tal senso, sentenza del 7 luglio 2022, Keskinainen Vakuutusyhtio Fennia, C-264/21,… punto 26)… Dal tenore chiaro e inequivocabile di tale articolo 3, paragrafo 1, risulta quindi che la partecipazione della persona che si presenta come produttore al processo di fabbricazione del prodotto non è necessaria affinché quest’ultima sia qualificata come ‘produttore’, ai sensi di detta disposizione (v., in tal senso, sentenza del 7 luglio 2022, Keskinainen Vakuutusyhtio Fennia, C-264/21,… punto 27)… Pertanto, una persona come, nel caso di specie, la ricorrente nel procedimento principale, che non fabbrica veicoli, ma che si limita ad acquistarli dal loro fabbricante per distribuirli in un altro Stato membro, può essere considerata ‘produttore’, ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 85/374, se, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva, si è presentata come tale avendo apposto sul veicolo in questione il proprio nome, marchio o altro segno distintivo”, considerato che – ancora si osserva, nel punto 37 della sentenza -, così facendo, “la persona che si presenta come produttore dà l’impressione di essere implicata nel processo di produzione o di assumerne la responsabilità”. Ne deriva che “l’utilizzo di tali dimensioni equivale, per detta persona, ad utilizzare la sua notorietà al fine di rendere tale prodotto più attraente agli occhi dei consumatori, ciò che giustifica che, in cambio, la sua responsabilità possa sorgere a titolo di tale utilizzo (sentenza del 7 luglio 2022, Keskinainen Vakuutusyhtio Fennia, C-264/21,… punto 34)”.

A questo punto, la Corte UE argomenta proprio sulla vicenda in esame: “… la controversia principale solleva la questione della responsabilità del distributore ufficiale in Italia di un prodotto difettoso, vale a dire, nel caso di specie, la Ford Italia, che non ha materialmente apposto esso stesso il proprio nome, marchio o altro segno distintivo su tale prodotto, in quanto il marchio figurante su quest’ultimo, vale a dire Ford, è stato apposto nel corso del processo di fabbricazione di tale prodotto e corrisponde al nome del fabbricante di quest’ultimo. Occorre quindi verificare se il fatto che tale marchio corrisponda anche a un elemento distintivo del nome di tale distributore sia sufficiente affinché quest’ultimo possa essere qualificato come ‘persona che si presenta come produttore’, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 85/374… Al riguardo, è vero che la formulazione di tale disposizione, riferendosi a una persona ‘che si presenta come produttore’ ‘apponendo’ sul prodotto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, potrebbe lasciar intendere che tale qualificazione sia subordinata ad un intervento attivo di tale persona, consistente nell’apporre essa stessa una siffatta menzione sul prodotto… Tuttavia, da un lato, occorre rilevare che tale riferimento riguarda essenzialmente, come indicato al punto 37 della presente sentenza, il comportamento di una persona che utilizza l’apposizione del proprio nome, marchio o altro segno distintivo su un prodotto per dare l’impressione di essere coinvolta nel processo produttivo o di assumerne la responsabilità… in tale prospettiva, quando detta persona fornisce il prodotto in questione, è indifferente che abbia materialmente apposto essa stessa una siffatta menzione suddetto prodotto o che il suo nome contenga la menzione che è stata apposta su di esso fabbricante e che corrisponde al nome di quest’ultimo. Infatti, in entrambe le ipotesi, il fornitore sfrutta la coincidenza tra la menzione di cui trattasi e la propria denominazione sociale per presentarsi al consumatore come responsabile della qualità del prodotto e suscitare in tale consumatore una fiducia paragonabile a quella che questi nutrirebbe se il prodotto fosse venduto direttamente dal suo produttore. In entrambi i casi il fornitore deve quindi essere considerato una persona che ‘si presenta come produttore’, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 85/374… Dall’altro lato, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza del 24 novembre 2022, Cafpi e Aviva assurances, C-691/21… nonché giurisprudenza ivi citata)… Al riguardo, dell’articolo 5 della direttiva 85/374, letto alla luce del quarto e del quinto considerando di quest’ultima, emerge che il legislatore dell’Unione ha adottato un’accezione ampia della nozione di ‘produttore’ al fine di tutelare il consumatore (v., in tal senso, sentenza del 7 luglio 2022, Keskinainen Vakuutusyhtio Fennia, C-264/21,… punto 31)… Infatti, dal quarto considerando della direttiva 85/374 emerge che il legislatore dell’Unione ha tenuto conto del fatto che la tutela del consumatore esige che la responsabilità di ‘chiunque’ si presenti come produttore apponendo il suo nome, marchio o qualsiasi altro segno distintivo sul prodotto sussista allo stesso titolo della responsabilità del ‘vero’ produttore. Inoltre, dell’articolo 5 di tale direttiva, letto alla luce del quinto considerando di quest’ultima, si evince che la responsabilità della persona che si presenta come produttore non è diversa da quella a cui è sottoposto il ‘vero’ produttore e che il consumatore può scegliere liberamente di chiedere il risarcimento integrale del danno ad uno qualsiasi dei responsabili, essendo la loro responsabilità solidale (v., in tal senso, sentenza del 7 luglio 2022, Keskinainen Vakuutusyhtio Fennia, C-264/21,… punto 32)… Risulta quindi che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 85/374 ha lo scopo di facilitare l’onere di dover determinare il vero produttore del prodotto difettoso… A tale riguardo, dalla relazione introduttiva per l’articolo 2 della proposta di direttiva della Commissione del 9 settembre 1976, all’origine della direttiva 85/374, articolo che è divenuto, senza modifiche sostanziali, l’articolo 3 di tale direttiva, emerge che il legislatore dell’Unione ha ritenuto che la tutela del consumatore non sarebbe sufficiente se il distributore potesse ‘rinviare’ il consumatore al produttore, il quale può non essere conosciuto dal consumatore (v., in tal senso, sentenza del 7 luglio 2022, Keskinainen Vakuutusyhtio Fennia, C-264/21,… punto 33)… Di conseguenza, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 85/374 deve essere interpretato, alla luce del contesto in cui si inserisce tale disposizione e dell’obiettivo perseguito dalla normativa di cui essa fa parte, nel senso che la nozione di ‘persona che si presenta come produttore’, ai sensi di detta disposizione, non può riguardare esclusivamente la persona che ha materialmente apposto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto. Decidere diversamente porterebbe a restringere la portata della nozione di ‘produttore’ e a compromettere in tal modo la tutela del consumatore. In particolare, si deve ritenere che il fornitore di un prodotto ‘si presenti come produttore’ quando il nome di tale fornitore o un elemento distintivo di quest’ultimo coincida, da un lato, con il nome del fabbricante e, dall’altro, con il nome, il marchio o un altro segno distintivo apposto sul prodotto da quest’ultimo”.

L’ampia e limpida risposta della Corte unionale alla questione che le era stata trasmessa ai sensi dell’articolo 267 TFUE assorbe ogni altro profilo, conducendo a riconoscere sine dubio l’infondatezza del secondo e del terzo motivo del ricorso, ovvero dalle censure che hanno indotto a rivolgersi alla suddetta corte. È stata infatti delineata in modo inequivoco e completo la figura del fornitore/produttore ai fini della responsabilità insorta nei confronti del consumatore, illustrando come il fornitore possa giungere a presentarsi al consumatore quale produttore, creando quindi una estensione di responsabilità, che, dal lato del consumatore, significa un aumento di tutela, nell’ottica di un – necessario, considerato il tipo di mercato che si imprime sul rapporto tra le parti – favor consumatoris. Per concretizzare la tutela con la direttiva comunitaria occorre sempre interpretare questa in relazione al favor consumatoris che vi è insito, in quanto una ratio non può interagire con le specifiche applicazioni della norma se non è identificata in toto, vale a dire raffrontata e misurata con la concreta realtà giuridica che insorge da tali applicazioni. Il che è stato evidenziato con assoluta chiarezza, ut supra già rilevato e dimostrato, dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea nella sentenza con cui ha risposto alla questione nella specie rilevante.

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Avvocato Massimo Palisi - Padova

Nato a Catanzaro in data 24 aprile 1969, consegue la maturità classica (voto 60/60) e la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova (voto 105/110). Viene eletto per il biennio 1992/94 Segretario Nazionale della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani).

Avvocato dal 1999, Cassazionista dal 2016, svolge la propria attività a livello nazionale, operando nell’ambito del diritto sostanziale e processuale civile, con particolare elezione per le tematiche relative alla responsabilità civile (sia in ambito contrattuale che extracontrattuale), alla tutela della persona e dei consumatori in generale (e sotto il profilo risarcitorio in particolare), al diritto del lavoro, al diritto delle assicurazione. Svolge inoltre assistenza a favore delle vittime nell’ambito delle procedure penali.

Ha deciso di non essere fiduciario di alcuna compagnia di assicurazione e/o banche, per non intaccare la propria opera di tutela nei confronti dei danneggiati e dei consumatori.

Ha collaborato, nel primo decennio del 2000, con Cittadinanzattiva Onlus, risultando membro: a) del gruppo studio “Assicurazioni ” del CNCU, istituito presso il Ministero delle Attività Produttive; b) del collegio del Nord Italia dei conciliatori istituito presso il gruppo Banca Intesa, c) del gruppo di studio istituito presso l’ANIA per l’emanazione del nuovo Codice delle Assicurazioni. Ha svolto corsi seminariali in tema assicurativo a livello nazionale, promossi e patrocinati dal Ministero delle Attività Produttive.

È stato relatore in diversi convegni giuridici di carattere nazionale.

Avvocato Evenlina Piraino - Padova

Nata a Cosenza in data 29 settembre 1981, consegue il diploma di maturità al liceo scientifico (voto 100/100) e si laurea nel 2006, presso l’Università di Cosenza (UNICAL), in giurisprudenza (voto 108/110) discutendo una tesi nell’ambito del diritto del lavoro (“Il nuovo sistema di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: Decreto Legislativo n. 38/2000′) e del diritto assicurativo (“Il sistema assicurativo sociale in ambito europeo”).

È avvocato dal 2009; fa parte dello studio dal 2013. Si occupa prevalentemente di diritto civile, sostanziale e processuale, diritto del lavoro, diritto di famiglia, procedure stragiudiziali e di mediazione. Nell’ambito della materia di elezione dello studio legale, si interessa in particolare degli istituti di responsabilità civile speciale, di quello di natura professionale, oltre alla tutela degli animali e dell’ambiente, a vantaggio del quale svolge anche attività di volontariato sociale.

È attiva nell’ambito del diritto di famiglia e della tutela dei minori, nonché della tutela dei diritti della persona in generale, dei consumatori e della proprietà intellettuale.

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