La moglie e le figlie promuovevano ricorso ex art. 696 bis c.p.c.avverso la struttura sanitaria che aveva avuto in cura il rispettivo coniuge e padre, chiedendo la nomina di un consulente tecnico d’ufficio che accertasse l’eventuale sussistenza di correlazione causale tra l’omissione dei medici e il decesso del loro congiunto. Costituitasi l’azienda ospedaliera e disposta l’integrazione del contraddittorio in confronto della sua compagnia assicurativa, l’AmTrust Assicurazioni Spa, il Tribunale, preso atto della pendenza di un procedimento penale per il reato di morte o lesioni personali in ambito sanitario di cui all’art. 590-sexies cod. pen., instaurato nei confronti dei sanitari del Pronto Soccorso dell’ospedale disponeva la sospensione del giudizio civile, ai sensi degli artt. 295 cod. proc. civ., 654 cod. proc. pen. e 211 disp. att. cod. proc. pen., rilevando che: “il fatto contestato in sede penale sia lo stesso dal quale trae origine e fondamento la domanda risarcitoria avanzata nel processo civile”, talché militerebbero “due elementi decisivi a favore della sospensione necessaria, costituiti dal possibile effetto della pronuncia penale nel giudizio civile e dalla identità delle parti convenute in sede civile con imputati responsabili civili nel processo penale“.
Con ricorso per regolamento di competenza, le ricorrenti censurano l’ordinanza di sospensione del giudizio: a) in primo luogo, per essere stata emessa in relazione ad un procedimento – l’accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis cod. proc. civ. – che non esita in un provvedimento decisorio, ma integra una mera condizione di procedibilità della domanda di merito; b) in secondo luogo, per essere stata emessa in difetto della – pur erroneamente affermata – condizione dell’identità soggettiva delle parti del giudizio penale e del giudizio civile, avuto riguardo, per un verso, alla circostanza che esse ricorrenti non si erano costituite parti civili nel processo penale, nonché, per altro verso, al fatto che gli imputati di tale processo non erano stati convenuti con l’azione civile, esercitata esclusivamente contro la struttura sanitaria; c) in terzo luogo, per essere stata emessa senza considerare che, venuto meno, con il nuovo codice di procedura penale, il tradizionale istituto della pregiudizialità penale ispirato al principio di unità della giurisdizione, il giudizio civile e quello penale sarebbero reciprocamente autonomi, salvi i casi specifici di pregiudizialità di cui all’art. 75, commi 1 e 3, cod. proc. pen.;
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 19 dicembre 2025 n.33249 accoglie le censure sub b) e c), aventi carattere logicamente pregiudiziale, con assorbimento di quella sub a).
In particolare il Collegio rileva che: “questa Corte ha di recente chiarito che il giudizio regolato dall’art.8 della legge n. 24l2017, pur non avendo natura di giudizio bifasico strutturalmente unitario, è tuttavia composto da due procedimenti (il primo a cognizione sommaria, il secondo a cognizione piena) funzionalmente collegati dalla finalità di anticipazione istruttoria propria dell’istanza di consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis cod. proc. civ.; questa natura, per un verso, esclude che la verifica della competenza debba avvenire già nel procedimento a cognizione sommaria con effetto preclusivo in quello a cognizione piena ed impone, anzi, che la relativa questione sia discussa in seguito all’introduzione della domanda di merito ex art. 281-undecies cod. proc. civ., previa eccezione del convenuto nella comparsa di risposta, se si tratti di questione di competenza territoriale derogabile; per altro verso, stante la “retroazione” degli effetti (non solo sostanziali ma anche processuali) della domanda giudiziale ex art. 281-undecies cod. proc. civ. al deposito del ricorso ex art. 696-bis cod. proc. civ., impone di individuare il momento determinativo della competenza in quello della proposizione dell’istanza di ATP conciliativo, non assumendo rilievo mutamenti successivi della legge o dello stato di fatto anche processuale (Cass. 5l05l2025, n. 11804). Atteso il collegamento funzionale tra i due procedimenti e le rilevanti implicazioni da esso derivanti, il provvedimento di sospensione, quand’anche emesso nell’ambito del procedimento a cognizione sommaria ed idoneo ad incidere significativamente sui tempi di definizione di tutto il giudizio e deve pertanto ritenersi impugnabile con il regolamento necessario di competenza, ai sensi dell’art. 42 cod. proc. civ., avuto riguardo all’esigenza di riconoscere alla parte che ne contesta la fondatezza la legittimazione ad esperire un controllo immediato avverso un provvedimento idoneo ad arrecarle un pregiudizio altrimenti irrimediabile.
Va altresì rammentato, dando continuità ad un rilievo reiteratamente svolto anche dalla giurisprudenza costituzionale sul tema dei rapporti tra processo civile e processo penale (Corte cost. sentenze n. 12 del 2016, n. 176 del 2019, n.182 del 2021, n.173 del 2022) che, a differenza del sistema delineato nel codice di procedura penale del 1930 (ove l’assetto delle relazioni tra i due giudizi era improntato ai principi di unitarietà della funzione giurisdizionale e di preminenza della giurisdizione penale), il sistema risultante dal codice in vigore appare, al contrario, informato ai diversi principi dell’autonomia e della separazione; ed infatti, nell’ipotesi in cui l’azione civile per le restituzioni o il risarcimento venga esercitata nella sua sede propria in pendenza di un processo penale per lo stesso fatto, non trova più applicazione la regola della cd. pregiudizialità penale (che imponeva la sospensione del giudizio civile sino al passaggio in giudicato della sentenza penale: art. 3 cod. proc. pen. 1930), ma il processo civile prosegue, di norma, autonomamente (art. 75, comma 2, cod. proc. pen.), salve le ipotesi eccezionali in cui il danneggiato abbia proposto la domanda in sede civile dopo essersi costituito parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado (art.75, comma 3, cod. proc. pen.); del pari, diversamente dal codice abrogato (il quale prevedeva che la sentenza penale assumesse efficacia vincolante nel giudizio civile di danno: artt. 23 ss. cod. proc. pen. 1930), il codice attuale stabilisce la diversa regola per cui la sentenza penale irrevocabile di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile risarcitorio se il danneggiato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’art. 75, comma 2, cod. proc. … comma 1, cod. proc. pen.)“.
A fronte di ciò la Corte esclude la sussistenza dei presupposti che giustificano la sospensione del processo civile, ai sensi degli artt. 295 cod. proc. civ. e 75 cod. proc. pen., ribadendo il principio per cui: “la sospensione necessaria del processo civile, ai sensi degli artt. 295 cod. proc. civ., 651, 654 cod. proc. pen. e 211 disp. att. cod. proc. pen., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile e a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile; perché si verifichi questa condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che i due processi si volgano tra le stesse parti ed abbiano ad oggetto i medesimi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell’imputazione penale (Cass., n.15641 del 2009; Cass. n.6834 del 2017; Cass. n.18918 del 2019; Cass. n. 15248 del 2021); ai fini dell’operatività della regola di cui all’art. 75, comma 3, cod. proc. pen., inoltre, occorre che l’azione civile sia proposta dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado e che il danneggiato agisca in sede civile solo contro l’imputato, non anche contro altri coobbligati al risarcimento, non citati in sede penale: Cass. n. 6185 del 2009; Cass. n. 17608 del 2013; Cass. n. 9066 del 2020; Cass., Sez. Un., n. 13661 del 2019).
Il Collegio rileva che: “nella fattispecie in esame, difettano tutti i necessari presupposti perché si verifichi la situazione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, a cominciare da quello dell’identità delle parti, neppure parzialmente coincidenti nei due giudizi, avuto riguardo alla circostanza che non è controverso che le ricorrenti non si erano costituite parti civili nel processo penale contro i medici e che gli imputati di tale processo non erano stati convenuti nel giudizio civile, il quale era stato promosso esclusivamente nei confronti della coobbligata Azienda Ospedaliera e della sua compagnia assicurativa, che non avevano assunto la qualità di responsabili civili in sede penale; deve, pertanto, escludersi, ai sensi sia dell’art. 295 cod. proc. civ. sia dell’art. 75, comma 3, cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni per la sospensione del processo civile in attesa del giudicato penale“.




