La Corte d’Appello di Palermo accoglieva parzialmente il gravame avanzato da un’azienda sanitaria provinciale, negando il danno non patrimoniale permanente e quindi riducendo il risarcimento, nonostante il resistente avesse fatto presente che l’appellante non aveva veicolato il gravame avverso l’an del danno biologico permanente, bensì aveva perseguito solo la riduzione del (pur riconosciuto, allora, dal primo giudice) risarcimento del relativo danno. La Corte d’Appello reputava però che l’an era implicitamente connesso/intersecato a quel che era l’oggetto del motivo (“nella specie appare evidente che la questione della astratta ravvisabilità di un danno biologico permanente, seppure non esplicitamente dedotto, è un presupposto di fatto antecedente alla incidenza delle preesistenti patologie accusate dal danneggiato sull’eventuale danno biologico patito“).
Con la sentenza del 15 dicembre 2025 n. 32614, la Corte di Cassazione censura la predetta decisione ravvisando una pluralità di errori sotto più profili. In particolare: “In primis, l’estensione del devoluto a questioni in esso comprese non significa però poter infrangere il giudicato interno: da ultimo, Cass. ord. 30129/2024 rimarca, infatti, che il giudice d’appello “può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché senza coinvolgere punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di giudicato interno in assenza di contestazione”. E l’an è sine dubio idoneo a formare giudicato interno se i motivi riguardano soltanto la quantificazione del danno, come qui si è visto essere accaduto. D’altronde, la difficoltà di identificare il quantum del danno, che viene dedotta dall’esistenza anche di un’altra “quota parte” di danno biologico derivante da preesistenti patologie, non significa, appunto, inesistenza del danno de quo, bensì obbliga a una quantificazione equitativa di esso. Peraltro, a proposito della impossibilità o della particolare difficoltà di provare – e quindi di pervenire ad accertare – l’ammontare preciso del danno, la giurisprudenza di questa Suprema Corte anche di recente ha ribadito la sussistenza dello spazio per la liquidazione equitativa, non consentendo di pervenire al diniego di quanto è stato già accertato definitivamente come esistente, cioè, appunto, l’esistenza del danno ingiusto (si vedano Cass. ord. 19681/2025 e Cass. ord. 13515/2022; cfr. pure Cass. 31546/2018, Cass. 20990/2011, Cass. 10607/2010, Cass. 13288/2007 e Cass. 13469/2002)“.




