La ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe liquidato la quota di personalizzazione nella misura massima prevista dalle tabelle del 25%, in contrasto con il principio secondo cui, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura “standard” del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le Tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna “personalizzazione” in aumento.
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 18 dicembre 2025 n. 33163 ritiene infondato il motivo, specificando che: “il principio secondo cui “in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna personalizzazione in aumento”, è stato affermato e reiteratamente ribadito da questa Corte (da ultimo, Cass. n.31681/2024; Cass. n. 5984/2025). Esso, tuttavia, nella fattispecie, non è stato violato perché la Corte territoriale ha riconosciuto la personalizzazione sul danno dinamico-relazionale “in considerazione della particolare afflittività sia dell’iter post operatorio, che dei plurimi interventi cui la signora si è dovuta sottoporre”, oltre che “per le conseguenze di natura permanente non emendabili”.
In proposito, infatti, i CCTTUU avevano evidenziato che “dopo il contestato intervento chirurgico dell’8 giugno 2016 la cui convalescenza si sarebbe estinta in pochi giorni, si è determinata una vicenda clinica che ha richiesto plurimi ricoveri ed interventi chirurgici di chirurgia plastica ricostruttiva, il mantenimento in sede di un espansore cutaneo frontale (per 100 giorni) oltre che un lungo periodo di medicazioni, terapia iperbarica, dilatazione delle vie lacrimali e assunzioni di farmaci. Il tutto si è concluso, per quanto risulta dalla documentazione sanitaria, nel novembre 2017, a distanza di 17 mesi dall’evento quando la paziente fu nuovamente valutata dallo specialista oculista che propose ulteriori provvedimenti terapeutici che non risultano effettuati”.
Ora, mentre le conseguenze di natura permanente liquidate secondo gli indici tabellari rientrano tra le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età e, pertanto, nella fattispecie, non giustificavano alcuna “personalizzazione” in aumento, invece l’iter post-operatorio e i plurimi interventi cui la ricorrente aveva dovuto sottoporsi costituivano in astratto circostanze idonee ad incidere in modo anomalo e peculiare sulla vita relazionale della danneggiata e, quindi, sull’entità del pregiudizio non patrimoniale, sicché la valutazione di merito circa la loro incidenza in concreto, effettuata dalla Corte territoriale, non è censurabile in sede di legittimità.
In altre parole, mentre, da un lato, non è censurabile l’accertamento di merito circa la peculiare incidenza dannosa delle circostanze post-eventum, dall’altro lato, la percentuale di personalizzazione è stata riconosciuta sulla base di corrette premesse in iure, con conseguente infondatezza della censura in esame.
Del resto, anche con riguardo alla censura in esame, sia l’art. 2697 cod. civ. che gli artt. 2727- 2729 dello stesso codice sono richiamati senza tener conto, in relazione a questi ultimi, nella necessità della rituale deduzione del vizio secondo i surricordati criteri sanciti dalle Sezioni Unite e, in relazione al primo, del principio che la relativa violazione esige la lesione dei criteri di riparto dell’onere probatorio, non essendo configurabile allorché si critichi, inammissibilmente, l’apprezzamento che il giudice del merito ha compiuto delle risultanze istruttorie (cfr., nuovamente, ex multis, le citate Cass. 29/05/2018, n. 13395 e Cass. 23/10/2018, n. 26769).




