A seguito del rigetto di una domanda giudiziale di risarcimento, per intervenuta prescrizione, il Cliente citava in giudizio il suo difensore a titolo di responsabilità professionale, che chiamava la propria assicurazione perché fosse dalla stessa manlevata in caso di condanna. Il giudice di prime cure accoglieva la domanda proposta e (parzialmente) quella di manleva, escludendo che la vicenda oggetto della responsabilità professionale fosse stata dolosamente o con colpa grave taciuta al momento della stipula della polizza assicurativa, ma dovendosi ritenere spettante la riduzione dell’indennizzo prevista dall’art. 1893, cod. civ., per l’ipotesi di omissione di un’informazione comunque dovuta alla compagnia di assicurazione, del previo sinistro assicurato, sia pure senza dolo o colpa grave. La Corte di appello adita, riformando la decisione del Tribunale, accoglieva la domanda di manleva escludendo potesse dirsi sussistente una qualsiasi omissione colpevole, osservando, in specie, che: l’informazione in parola non era specificatamente richiesta dal contratto; nonostante fossero trascorsi sei anni dal rigetto in prime cure della originaria domanda risarcitoria, non gli era pervenuta alcuna richiesta fondata sulla pretesa responsabilità professionale; aveva proposto infruttuosamente all’assistita di promuovere impugnazione e non aveva avuto notizia dei successivi gradi di quel giudizio; all’epoca dei fatti sussistevano due diversi orientamenti giurisprudenziali sull’operatività, nella fattispecie, del più lungo termine prescrizionale previsto dalla disciplina penalistica, sicché verosimilmente l’avvocato Pa.Ca. aveva creduto in buona fede di aver assolto correttamente al proprio mandato difensivo; la soccombenza e la conseguente revoca del mandato stesso non potevano ritenersi eventi eccezionali nella vita professionale di un legale, tanto da dover esser tutti comunicati all’assicuratore.
Ricorreva avverso tale decisione la compagnia di assicurazione, prospettando (con il primo motivo) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, secondo comma, 2697,1370,1892, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato in particolare facendo riferimento, per individuare il parametro soggettivo richiesto in capo all’avvocato nel valutare le informazioni da notiziare all’assicuratrice, alla diligenza media e non a quella propria dell’attività professionale forense che, invece, avrebbe imposto la comunicazione del rigetto della domanda intervenuto nel 2006 e della seguente revoca del mandato nonché (con il secondo motivo) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,1370,1893,1917, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che: la polizza conteneva la dichiarazione di “non essere a conoscenza di alcun elemento che (potesse) far suppore il sorgere di un obbligo di risarcimento di danno… imputabile” all’assicurato, “per fatto già verificatosi al momento della stipulazione del contratto“, ovvero l’obbligo di comunicare un fatto quale quello in discussione potenzialmente foriero di responsabilità, senza che potesse pretendersi un’ulteriore specificità della dicitura contrattuale, non essendo tipizzabile la relativa casistica; il mero decorso di sei anni dal rigetto non era circostanza idonea a far dimenticare il rigetto della domanda proposta per un importante credito; non era ostativa la mancata ricezione di richieste risarcitorie, proprio perché vi era l’obbligo di comunicare ogni potenziale fatto suscettibile di divenire sinistro assicurativo; l’avvocato assicurato non era risultato che si fosse informato sull’esito, comunque negativo, dei successivi gradi; la presenza di una pluralità di orientamenti giurisprudenziali sul punto controverso, al momento della sentenza di prime cure di rigetto dell’originaria domanda risarcitoria, e il loro successivo superamento, non poteva non essere conosciuta dall’avvocato, rendendo irrilevante l’affermazione della normalità dei casi di soccombenza e revoca del mandato difensivo.
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 13 dicembre 2025 n.32555, ha rigettato entrambi i motivi, rilevando che: “la Corte territoriale ha accertato e motivato conclusivamente nel senso che, stipulata la polizza a distanza di sei anni dal rigetto in primo grado della domanda posta a fondamento dell’azione di responsabilità professionale, nessuna richiesta risarcitoria era pervenuta all’avvocato, laddove, “all’epoca dei fatti de quibus sussistevano due diversi orientamenti giurisprudenziali circa l’operatività del più lungo termine di prescrizione previsto dal codice penale nelle ipotesi di risarcimento danni prodotti dalla circolazione dei veicoli, che, verosimilmente, condussero l’avvocato a credere in buona fede di aver assolto correttamente al proprio mandato”. In questo senso – nella prospettiva del Collegio di secondo grado – la mera soccombenza in prime cure dell’assistita in quel giudizio, con susseguente revoca del mandato, eventi non eccezionali nella vita professionale di un legale, non potevano di per sé indurre ragionevolmente e ritenere che quella vicenda professionale dovesse per ciò solo rientrare negli elementi che potessero “far supporre il sorgere di un obbligo di risarcimento di danno a lui imputabile al momento della stipulazione del contratto” (art. 17 delle condizioni di polizza, pag. 13 del ricorso per cassazione). Questa ragione decisoria, al di là del richiamo per condivisione all’affermazione del giudice di primo grado sulla “diligenza propria dell’assoluta maggioranza degli uomini” ovvero media (pagg. 15-16 della sentenza della Corte di appello), deve ritenersi aver univocamente fatto riferimento alla condotta del professionista infatti qualificato di nuovo come “avvocato” nella ricostruzione dell’esigibilità della comunicazione all’assicuratore, con ulteriore richiamo ricostruttivo alla casistica lavorativa in parola.
In questa chiave – rispondendo così al primo mezzo d’impugnazione – deve dirsi che la verifica della Corte distrettuale è stata in realtà concretamente orientata dal criterio della diligenza di cui all’art. 1176, secondo comma, cod. civ.; ciò posto, la ratio in questione è stata censurata, con il secondo mezzo d’impugnazione diretto a ottenere la riduzione del rimborso, con deduzioni afferenti all’esame fattuale riservato al giudice di merito ed estraneo alla presente sede di sola legittimità, ovvero inerenti: all’apprezzamento, indicato come neutrale, del decorso del tempo e della mancata richiesta risarcitoria in quelle more; alla normalità delle vicende legali di soccombenza e revoca del mandato difensivo. Nel ricorso si richiama, inoltre, la mancata verifica degli esiti dei successivi gradi, che però non incide sulla ratio concernente l’impossibilità di ritenere che al tempo del giudizio di primo grado vi fosse almeno un orientamento giurisprudenziale che giustificasse l’azione: sul punto si evidenzia che l’accertamento riguardante lo stato della giurisprudenza in quel momento ha per oggetto un elemento di fatto nella controversia in questa sede scrutinata, poiché non assurge a regola di giudizio in iure della stessa integrando, invece, una circostanza storica necessaria a ricostruire la correttezza della condotta dell’avvocato a fronte degli obblighi di polizza. Si rimarca, poi, che la stessa parte ricorrente conferma la sussistenza della discussa pluralità degli orientamenti, e anzi allega che il superamento degli stessi, fu successivo all’azione risarcitoria a quo in primo grado“.




