La diffusione del COVID-19 fornisce un’ulteriore conferma di quanto, per gli operatori del settore, è già da tempo molto chiaro: nei casi di malpratice medica la responsabilità non è tanto del singolo medico ma di chi ha la gestione della struttura nel quale lo stesso è costretto a lavorare. Ed invero all’abnegazione dei medici si contrappone molte volte la grossolanità di scelte decisionale dei vertici della struttura (nel caso del covid: mancanza di scorte di presidi, taglio dei posti letti, discutibili sistemazioni dei malati), scelte che i medici possono solo subire.
Contrariamente a quanto crede generalmente la pubblica opinione, nel giudizio civile, per un caso di responsabilità medica, non è necessario citare il medico, anzi il più della volta non lo si cita neppure. Ed infatti se, per esempio, è la direzione sanitaria ad imporre ai medici una limitazione di accertamenti diagnostici (perché costosi), così da rendere più problematica e complessa l’attività dei medici, perché mai citare un medico per un errore diagnostico?
È la struttura sanitaria a chiamare il medico nel giudizio, avviato dal paziente, per riversare sul proprio preposto l’opinabile gestione della sanità.
Sono veramente i malati (ed i loro avvocati) i veri nemici dei medici?