Sulla modificazione dell’agenda esistenziale. La declinazione fantastica del MAI e del LIMITE
“Mai. Una parola tremenda. La più tremenda di tutte le parole usate dagli uomini. La si può paragonare solo alla parola ‘morte’. La morte è un grande ‘mai’. Un ‘mai’ eterno che spazza via ogni speranza e possibilità. Non ci sono più “forse”, né “chissà”. Mai. Io non salirò mai sull’Everest. Niente allenamenti, niente controlli medici, trasferimenti, alberghi. Non dovrò prendermela con il brutto tempo, i sentieri sdrucciolevoli e le sporgenze a strapiombo. Non ci saranno tappe intermedie né montagne grandi e piccole, non ci sarà nulla. Forse, con un po’ di fortuna, con un bel po’ di fortuna un giorno vedrò il Tibet. E con un gran bel po’ di fortuna mi porteranno in elicottero fino al primo campo base, fino al primo e ultimo «non si può» Vedrò le montagne, gli scalatori folli che sfidano se stessi e la natura. Al rientro, se avranno avuto fortuna, loro, e non avranno subìto perdite, mi racconteranno felici e un po’ imbarazzati che cosa c’era là, oltre il confine del mio «mai.» Saranno gentili con me, lo so, perché sono pazzo quanto loro. Sarà bellissimo. Solo che io non raggiungerò mai una cima.
Come non scenderò mai in batiscafo nella Fossa delle Marianne. Non vedrò quant’è bello laggiù, in fondo al mare. Mi resteranno solo le riprese, prova documentale della tenacia e del coraggio di qualcuno.
Non mi porteranno nemmeno nello spazio. Non che abbia tutta questa voglia di vomitare per le vertigini, galleggiando dentro una scatoletta di metallo. Tutt’altro, ma è un peccato. C’è qualcuno che vola, lassù, sopra la mia testa, ma io non posso.
Non potrò mai attraversare il Canale della Manica a nuoto o l’Oceano Atlantico in zattera. I cammelli del Sahara e i pinguini dell’Antartico dovranno fare a meno di me. Non potrò uscire in mare su di un peschereccio, e non vedrò una balena che nuota, placida, e consapevole di essere più unica che rara. Il pesce mi arriverà direttamente a casa, perfetto, sbuzzato e pronto all’uso. Scatolame, sempre scatolame. Tocco il joystick della mia carrozzella elettrica e mi avvicino al tavolo. Afferro con i denti una cannuccia di plastica e la infilo nel bicchiere. E vada per lo scatolame” (Gallego, Bianco su Nero, pag.165)