Nella lingua italiana non esiste un termine per indicare un genitore che perde un figlio (come per esempio orfano per i figli). Il motivo è semplice: l’innaturalità dell’evento, il sovvertimento dell’ordine logico oltre che biologico. Quasi che anche le parole si ritraggono da quest’orrore. E rimane solo il silenzio. Eppure i poeti cercano di trovare quelle parole, come fa Ungaretti per la morte del figlio amato, di appena nove anni, portato via da un’appendicite mal curata. Quelle parole formano una specie di diario intimo ed essenziale del dolore di fronte alla morte, per descrivere quel continuo “schianto“
“Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani…
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo…
Come si può ch’io regga a tanta notte?..“
(Giuseppe Ungaretti, Giorno per giorno)