Il Tribunale di Milano, con un’articolata e ponderata sentenza, disarticola il ragionamento imposto dalla Corte di Cassazione, nelle sue ultime decisioni, circa la pretesa non cumulabilità tra il risarcimento e l’indennizzo assicurativo. E lo fa attraverso lo “spostamento” del contratto concluso per “infortuni o morte” dalla categoria delle assicurazione per danni a quella sulla vita ed evidenziando il valore centrale della “rinuncia alla rivalsa”. Per far ciò il Tribunale si aggancia idealmente a quanto già affermato dalla Corte di Appello di Milano, che sul punto, dopo aver ravvisato nella polizza infortuni sottoposta al suo esame una natura previdenziale, ha escluso l’operatività della compensatio osservando che “la causa del contratto quale misura dell’esercizio dell’autonomia negoziale è idonea pertanto a fare sì che l’indennizzo possa atteggiarsi in termini non meccanicamente riconducibili nell’alveo del principio della “compensatio lucri cum damno”, ciò in considerazione della possibilità di riferire un valore all’integrità fisica, da reperire consensualmente nella misura dell’indennizzo, costituendo la polizza una modalità di quantificazione delle conseguenze dannose dell’evento pregiudizievole. L’assicurazione sull’infortunio può quindi trovare la propria ragione non solo in relazione alla rimozione del danno ma anche nella precauzione – a fronte di un evento negativo che può colpire la persona nella sua integrità psicofisica o nella sua capacità di produrre reddito – di introdurre una forma di previdenza che non si sostituisce ma si affianca a quella indennitaria. Trattasi di prestazione funzionale a garantire, proprio a fronte dell’evento negativo incidente sull’integrità fisica, non solo l’elisione del danno attraverso il processo indennitario ma anche una maggiore tranquillità economica, introducendo così anche una forma di risparmio di pieno valore sociale“.
Si attende ora la risposta della Corte di Cassazione.