“I risparmi per sventate frodi nella r.c. auto sono stati pari a 214 milioni di euro, derivanti da circa 40 mila sinistri per cui le valutazioni svolte dalle imprese hanno individuato tentativi di frode”. Questa la mirabolante affermazione dell’IVASS che si può leggere nella recente relazione annuale della stessa.
Ma è proprio così?
In realtà spulciando i numeri che lo stesso Istituto ci fornisce, sono gli stessi dati a smentire clamorosamente quanto affermato, permettendo di trasformare il dichiarato risparmio come un semplice ulteriore guadagno delle assicurazioni a danno delle vittime dei sinistri.
L’Ivass infatti dichiara che nel 2022 sono stati 2.467.276 i sinistri denunciati; di questi 627.712 sinistri (il 25%) sono definiti “esposti a rischio frode” (ossia presentano una situazione solo potenzialmente e non concretamente attinente ad una frode); solo 298.123 (pari al 12%) sono stati oggetto di un approfondimento, da parte della compagnia, per accertare concretamente la truffa. All’esito di tali indagini, appena 2.991 casi (quindi lo 0,11%) sono stati oggetto di denuncia e querela. Quindi solo per una frazione prossima allo zero le compagnie di assicurazioni hanno avuto la consapevolezza trattarsi di frode. Ed anche questo misero dato non può tradursi nella certezza della truffa , se -come riferisce l’IVASS- solo il 36% delle denunce, presentate dalle compagnie nei precedenti anni, ha avuto un esito positivo (il giudice ha accertato la truffa). Quindi riassumendo su un totale di 2.467.276 richieste di risarcimento solamente 1.076,76 possono considerarsi fraudolente. Ossia lo 0,043 !!!
Ma allora come un numero così misero può aver generato un risparmio di 214 milioni? Probabilmente il risultato è raggiunto attraverso l’artificiosa manipolazione del seguente dato: 37.335 sinistri, approfonditi per rischio frode, sono stati posti senza seguito. Ossia i richiedenti danneggiati non hanno più proceduto nella richiesta. Ma veramente chi chiede all’inizio un risarcimento e poi non va avanti lo fa solo perché ha capito che la sua truffa (o meglio la sua tentata truffa) è stata scoperta?
In realtà il motivo probabilmente è un altro.
Non appena una richiesta viene bollata come “fraudolenta” la stessa viene spostata dagli ispettorati alle c.d. “aree speciali”. E basta veramente poco perché ciò succeda (nella mia esperienza giudiziale, allorquando la compagnia, tratta in giudizio, ha dovuto scoprire le carte si è visto che la qualifica di sospetta truffa è stata data, con superficialità, solo per un numero civico sbagliato, un rifiuto opposto ad un accertatore troppo assillante, un riferimento non esatto a circostanze del tutto insignificanti). Dalle “aree speciali” l’assicurazione non fornisce alcun chiarimento. Si trincera dietro un silenzio impenetrabile. Non dà le risposte imposte dall’art. 148 C.d.A.. Non permette l’accesso ai documenti. L’unica strada rimane quindi quella del giudizio. In assenza di un acconto stragiudiziale ed in considerazione del notevole costo per l’accesso alla giustizia, il danneggiato semplicemente medita di rinunciare all’azione, anche perché non è in grado di finanziarla. Rinuncia così per una situazione di difficoltà, indotta artificialmente dalle assicurazione, e non perché sia necessariamente un truffatore.
Quindi quanto orgogliosamente sbandierato dall’IVASS come un successo (per una ipotetica vittoria su truffatori incalliti) si tramuta in un segno di vergogna: è il mancato risarcimento di tanti danni, a vantaggio dei bilanci delle compagnie. Proprio ciò che l’IVASS istituzionalmente avrebbe dovuto e dovrebbe evitare!