Nella propria relazione annuale, l’Ania riferisce di aver richiesto “alle imprese di segnalare la tipologia di fenomeni fraudolenti più ricorrenti nell’ultimo anno”. Nell’ambito del ramo r.c.a sono stati indicati: “denuncia di sinistri mai accaduti, documentazione contraffatta, assunzione indebita di responsabilità da parte dell’assicurato per danni subiti da familiari o conoscenti, omissione dei legami di parentela fra soggetti, denunce di infortuni procurati in altri contesti rispetto al luogo assicurato, sinistri non accaduti nelle modalità denunciate, dichiarazioni falsificate su modalità di accadimento del sinistro altrimenti oggetto di esclusione, richieste di danni sovrastimati, incompatibilità tecnica dei danni, denuncia danni preesistenti con conoscenza evento e consapevolezza rischio antecedentemente alla sottoscrizione della polizza; denunce su garanzie RCO per soggetti appena o mai assunti”.
Se ovviamente nulla si può dire per le altre ipotesi, lascia letteralmente sbigottiti il fatto di voler considerare truffe assicurative le richieste di danni asseritamente sovrastimati o tecnicamente incompatibili. E ciò perché, diversamente dagli altri casi (tutti oggettivamente accertabili), in questi casi risulta preponderante l’elemento soggettivo. Orbene chi decide che il danno sia sovrastimato o incompatibile? I periti nominati dalla compagnia di assicurazione? Tali fiduciari possono mai garantire terzietà ed indipendenza di giudizio? Peraltro sono propri questi soggetti che dimostrano una costante e pervicace sottostima dei danni che sono chiamati ad accertare. In termini poi più squisitamente giuridici la truffa (anche quella assicurativa) è un reato doloso e non certo colposo, come sicuramente è un errore di quantificazione del danno.
Pare banale dirlo ma se il giudizio di sovrastima o di incompatibilità proviene proprio dal soggetto obbligato a ristorarlo, i dubbi sulla correttezza di tale valutazione sui danni appaiono del tutto legittimi. Se volessimo seguire il ragionamento degli assicuratori, allora perché non considerare fraudolenta la condotta di quelle compagnie che non pagano volontariamente il danno costringendo il danneggiato alla causa? Non è serio misurare le condotte dei soggetti con due pesi o con due misure.
Peraltro tale indebita estensione della perimetrazione del concetto di frode permette alle compagnie di “spedire” le posizioni nelle c.d. aree speciali (https://studiolegalepalisi.com/2023/06/21/livass-ed-il-fenomeno-delle-truffe-assicurative) sospendendo ogni garanzia di trasparenza a favore del danneggiato, complicando il diritto di difesa del medesimo, aumentando le possibilità che il danneggiato non sia in grado di accedere alla giustizia. E anche questo non pare essere un comportamento corretto da parte di chi si erge continuamente a fustigatore di pretesi corrotti costumi dei danneggiati