La Cassazione, con un’articolata sentenza del 2022 (ripresa dall’Ania nella sua recente relazione annuale), ha stilato un vero e proprio manifesto a favore della costituzione di una rendita (al posto del risarcimento di una somma capitale) per le ipotesi di danni più gravi alla persona che compromettono la normale aspettativa di vita del danneggiato.
Ed invero la Suprema Corte afferma: “l’universo del danno grave alla persona rappresenta (dovrebbe rappresentare) il terreno d’elezione per un risarcimento in forma di rendita – l’unico che consenta di considerare adeguatamente, sotto molteplici aspetti, tra cui quello dell’effettività della tutela e della giustizia della decisione – l’evoluzione diacronica della malattia (ovvero la sua guarigione, se possibile), così che l’antinomia tra l’astratta efficacia di tale strumento risarcitorio e la sua (mancata) applicazione in concreto appare segnata, in premessa, da una sorta di sostanziale quanto non giustificabile “diffidenza” nei suoi confronti”.
In particolare osserva che: “nel caso di macroinvalidità (specie se comportino la perdita della capacità di intendere e di volere), in quello di lesioni subite da un minore per il quale una prognosi di sopravvivenza risulti estremamente difficoltosa se non impossibile, in quello di lesioni inferte a persone socialmente deboli o descolarizzate (richiedenti asilo, disabili mentali o anche semplicemente macrolesi i quali già prima del sinistro si trovassero in profondo conflitto con i familiari), ovvero ancora con riguardo alle qualità del debitore (una compagnia di assicurazione, piuttosto che un privato o una pubblica amministrazione), sussista il serio rischio che ingenti capitali erogati in favore del danneggiato possano andare colpevolmente o incolpevolmente dispersi, in tutto o in parte, per mala fede o per semplice inesperienza dei familiari del soggetto leso. In simili casi il giudice, valutando comparativamente i pro ed i contro del caso concreto, ben potrà, se non addirittura dovrà, privilegiare una liquidazione del danno in forma di rendita”.
La Corte infine precisa le modalità con cui procedere alla costituzione della rendita:
“qualora il giudice ritenga di liquidare il danno in forma di rendita, dovrà procedere, in concreto:
a) a quantificare il danno in somma capitale, avuto riguardo all’età della vittima al momento del sinistro, sulla base delle tabelle di mortalità e senza tener conto della sua eventuale ridotta aspettativa di vita, qualora quest’ultima risulti conseguenza dell’illecito;
b) ad individuare un coefficiente di capitalizzazione fondato su corrette basi attuariali, aggiornato e corrispondente all’età della vittima al momento dell’evento;
c) a dividere la somma capitale per il coefficiente di capitalizzazione;
d) a dividere ancora (eventualmente) per dodici il rateo annuo, se intenda liquidare una rendita mensile invece che annuale”.
Con riguardo al problema della possibilità di adeguamento della rendita (che parte della dottrina identifica come una delle ragioni della scarsa applicazione dell’istituto, sottolineando come, in virtù del principio nominalistico che governa le obbligazioni pecuniarie, il potere di acquisto dell’importo dovuto periodicamente possa risultare eroso a causa della svalutazione monetaria), osserva il collegio come “non sia precluso al giudice, in applicazione delle “cautele” consentite dalla norma, prevedere ex ante dei meccanismi di adeguamento rispetto al potere di acquisto della moneta in quanto, in assenza di tali meccanismi, il risarcimento non sarebbe integrale, così come condivisibilmente affermato da una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Milano 9 maggio 2017, e 14 maggio 2019, Trib. Lecce 1 luglio 2019 n. 2275, che adottano il criterio della rivalutazione annuale secondo l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi membri dell’Unione Europea (IPCA); Trib. Palermo 5 luglio 2017 e Trib. Gorizia 18 luglio 2017, n. 273, che fanno riferimento al FOI-Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati elaborato dall’Istat)“.