La sorella di Giulia ha affermato:
“Io mi sveglio ogni mattina e mi viene da piangere a pensare che mia sorella non è nella camera affianco alla mia”.
La morte di una sorella (o di un fratello) sconvolge l’esistenza. Potrebbe sembrare una cosa in qualche modo eccessiva, se paragonata, per esempio, alla perdita di un figlio.
Antigone, nella famosa tragedia sdi Sofocle, ci dà una spiegazione particolare del suo lutto.
“Né se di figli fossi stata madre, Né se a imputridirsi fosse stato il corpo di un marito, avrei assunto con forza la pena di andare contro la città. In nome di quali leggi lo affermo? Morto lo sposo, un altro uomo avrei potuto avere, e un figlio da un altro uomo, se un figlio avessi perduto. Ma poiché padre e madre sono chiusi nell’Ade, non c’è fratello per me che possa germogliare”.
Affermazione quasi paradossale ma dotata in fondo di un’incontestabile forza e verità. Quello che risalta è il concetto dell’infungibilità e della impossibile sostituzione, posta alla base della teoria dell’elaborazione del lutto. Antigone in altre parole chiarisce che la perdita massima è proprio quella di un fratello, perché un altro fratello non potrà avere (medesimo discorso per i genitori), mentre in astratto diversi possono essere i mariti e/o i figli.
Eppure questa idea forte non viene assolutamente valorizzata in pieno nelle note tabelle risarcitorie ove l’importo previsto per la scomparsa del fratello è la più bassa in assoluta, condivisa con quella dei nonni per la perdita dei nipoti.