Per comprendere le diverse spinte, cui è sottoposto il risarcimento del danno (tra obbligo egualitario e necessità di personalizzazione), può essere significativo il dialogo che intercorre tra Admeto ed il Coro, nella tragedia Alcesti di Euripide .
Il marito di Alcesti, dilaniato per la morte della moglie, piange e manifesta il proprio atroce dolore. Viene però rintuzzato dal Coro che esprime il luogo comune del non tibi solo (“non sei né il primo né l’ultimo uomo a perdere una buona moglie. Impara che tutti dobbiamo morire”; “sopporta che non sei il primo” “a molti la morte ha portato via la sposa”). La funzione precipua del Coro è propria proprio quella di registrare una vicenda peculiare (afferente alla singolarità di un’esistenza) e condurla ad una comprensione universale, mettendone in luce gli aspetti comuni.
Nelle stesse modo le tabelle per la quantificazione del danno. Rappresentano, per specifico compito, l’equità, individuano un terreno comune per la quantificazione del singolo danno. Ma ovviamente, come la giurisprudenza insegna, la sola ed acritica applicazione delle stesse, senza la garanzia onerosa (da parte del danneggiato) di individuare il grado specifico di sofferenza o di menomazione e/o di limitazione, sarebbe un insulto al concetto stesso di equità. I due poli devono coabitare, rimanendo in perenne tensione. Proprio proprio come la voce di Admeto che si stacca dal canto del coro. Sopprimere il protagonista per lasciare il posto al solo coro condannerebbe la tragedia alla monotonia, e, il danno all’ingiustizia.