Una precisazione in premessa. Il lucro cessante ha natura patrimoniale, derivante dalla perdita di capacità lavorativa specifica del soggetto che ha visto compromesse le proprie aspettative di lavoro in relazione alle proprie attitudini specifiche. La lesione della cenestesi lavorativa ha invece natura non patrimoniale, consistente nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente, neanche sotto il profilo delle opportunità, sul reddito della persona offesa, risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo.
Orbene come dovrà risarcirsi tale lesione con le nuove tabelle ministeriali? La domanda non è peregrina, anzi consente di trovare una convincente conferma alla correttezza dell”interpretazione indicata nei giorni scorsi (https://studiolegalepalisi.com/2024/01/18/la-nuova-tabella-nazionale-e-se-la-ciambella-non-fosse-venuta-con-il-buco/) sull’effettiva porta della TUN e del panorama liquidatorio.
Per il risarcimento della limitazione alla cenestesi lavorativa non potrà essere utilizzata la c.d. prima tabella (quella relativa al solo danno biologico puro) in quanto tale conseguenza non è automatica al danno biologico. Facciamo un esempio: se un impiegato è vittima di una zoppia, questa difficilmente renderà più gravoso il suo lavoro (svolto esclusivamente alla scrivania); non essendosi quindi alcuna limitazione di tale specie non si dovrà procedere ad alcun specifico risarcimento. Ma se invece la stessa zoppia colpisce un ristoratore, costretto per molte ore a stare in piedi e/o camminare tra i tavoli, è indubbia la maggiore stanchezza che subirà nello svolgimento, dopo il sinistro, del proprio lavoro, nonostante il reddito rimanga invariato.
Tale limitazione non potrà essere liquidata con la c.d. seconda tabella (quella relativa al danno morale) perché è evidente che si tratta di un aspetto che “gira” attorno alla sfera biologica (di competenza medico legale) e il Legislatore ha chiaramente e specificamente dedicato tale tabella al solo danno morale, ontologicamente differente da quello biologico.
L’unica possibilità è quella che venga equitativamente valutata dal Giudice, a prescindere dalle predette due tabelle contenute nella TUB. E ciò secondo la facoltà prevista dall’art. 138 C.d.A.. In giurisprudenza si afferma costantemente (ed anche recentemente) tale facoltà (cfr. sentenze n.35663/23; n. n. 17931/19; 17411/19; n. 12572/18; n. 20312/15).
Si dimostra così de plano quanto sia fallace l’impostazione dogmatica che vorrebbe limitare la c.d. personalizzazione solo ad eventi eccezionali, dovendosi concretamente giustificare l’attività equitativa e suppletiva del Giudice in presenza di aspetti certo peculiari ma non straordinari.
In caso contrario la limitazione della cenestesi lavorativa non potrebbe essere risarcita, con un evidente vulnus al principio costituzionale dell’integrità del risarcimento. Con l’adozione della nuova tabella nazionale è oramai impellente un serio ripensamento dei limiti assurdi posti alla valutazione equitativa del Giudice (prevista dall’art. 138 C.d.A.) per liberarlo finalmente da un’insensata camicia di forza.