La Corte di Cassazione ribadisce il proprio costante ed autorevole insegnamento sull’utilizzo della presunzione al fine della prova della lesione del vincolo parentale.
Il ricorrente aveva impugnato la sentenza della Corte di Appello di Bolzano che aveva applicato proprio tale principio (“la prova del danno non patrimoniale da sofferenza interiore per la sua perdita può essere fornita dal familiare “mediante presunzione fondata sull’esistenza dello stretto legame di parentela riconducibile all’interno della famiglia nucleare, superabile dalla prova contraria, gravante sul danneggiante, consistente questa nella dimostrazione non della mera mancanza di convivenza, bensì dell’assenza di legami affettivi“) lamentandosi che non poteva pretendersi dal convenuto la prova dell’assenza di legami affettivi, trattandosi di una prova negativa e diabolica, e contestando la sussistenza, sempre e comunque, di un legame affettivo tra familiari.
La Corte, nella sentenza n. 3301 del 5 febbraio 2024, rigetta il ricorso confermando che l’esistenza di uno stretto legame di parentele, riconducibile all’interno della famiglia nucleare, costituisce una giustificazione solida e sufficiente al fine di far correttamente applicazione del procedimento presuntivo, superabile solo dalla prova contraria, gravante sul danneggiante, consistente questa nella dimostrazione non della mera mancanza di convivenza, bensì dell’assenza di legami affettivi tra i superstiti e la vittima nonostante il rapporto parentale. In altri termini “quel che suscita la presunzione è lo stretto legame di parentela, così ormai potendosi intendere la famiglia nucleare, non incidendo su di essa la convivenza o meno tra i soggetti coinvolti, elemento questo che non attiene all’an presunto del danno, bensì al quantum risarcitorio, ovvero ad un’altra fase accertatoria“.