Le fortune nel diritto, come nella vita, sono alterne ed instabili. Chi aveva festeggiato, appena un mese fa, l’adozione, da parte del Consiglio dei Ministri, dello schema sulla tabella unica nazionale in ordine alle macropermanenti, oggi critica il Consiglio di Stato che ne ha di fatto bloccato l’emanazione. Di contro, chi si lamentava della scelta del Governo ora plaude all’iniziativa della Magistratura https://studiolegalepalisi.com/2024/02/24/il-consiglio-di-stato-critica-o-schema-della-tabella-unica-nazionale/).
Forse è opportuno avanzare due considerazione.
La prima, di carattere strettamente procedurale. Il Governo ha disatteso, in maniera evidente, le modalità di formazione del decreto, operato esclusivamente dal Ministero delle Imprese, mentre avrebbe dovuto essere formulato “di concerto” con il Ministero della Giustizia. L’altolà del Consiglio di Stato è stato quindi inevitabile e trova unicamente giustificazione nella condotta un po’ “sbarazzina” del Ministro Urso . Su questo mi pare francamente che non ci sia tanto da discutere e peraltro in effetti poco si discute. Peraltro lo stesso Consiglio di Stato specifica che non si tratta di rilievo formalistico, in quanto: “il coinvolgimento del Ministro della giustizia appare correlato alla necessaria ed impegnativa verifica, in chiave retrospettiva, della complessiva coerenza dell’intervento con gli orientamenti maturati dalla giurisprudenza “consolidata” in punto di risarcimento del danno non patrimoniale e, in chiave prospettica, dell’impatto della regolazione sulla attività giurisdizionale e sulle modalità di liquidazione dei danni“.
La seconda riguarda la reale natura dell’attuale confronto. Il Consiglio di Stato ha affermato che la prioritaria finalità della nuova regolamentazione è quella di garantire l’integrale risarcimento del danno (la c.d. prospettiva vittimologica e solidaristica“), in funzione della quale deve considerarsi subordinato l’interesse del comparto assicurativo (la “salvaguardia della complessiva sostenibilità sistematica”).
Nel parere si legge infatti nettamente che: “la sostenibilità degli impatti economici sul sistema assicurativo non può essere acquisita e valorizzata quale vincolo ex ante (ovvero limite rigido e predefinito) per una diluita scansione parametrica dei potenziali esiti remediali, in funzione di generalizzato ed ingiustificato temperamento o, perfino, di misurata e programmatica riduzione della tutela delle vittime“.
L’attuale conflitto si risolve tutto nell’oscillazione tra questi due poli. Se certo non mi scandalizzo che una parte dei soggetti che in questi giorni esternano il loro desiderio di stabilità assicurativa (anche a costo di accettare un regime indennitario), da parte mia reclamo semplicemente che il danno, tutto il danno, deve essere sempre risarcito, senza esagerazioni ma neppure senza sconti. Si tratta di un semplice posizionamento, tra assicurazione e vittime. Nulla di più.
Per concludere segnalo un passaggio nel parere che che svela il bluff delle compagnie assicurative. I giudici di Palazzo Spada infatti precisano che: “solo un eventuale e dimostrato esito di squilibrio macro-economico sulla complessiva redditività delle imprese di settore potrebbe legittimare, nella prospettiva solidaristica evocata dalla Corte costituzionale, una opzione sostanzialmente calmierante. Ma una tale dimostrazione non emerge dai dati allegati, né è coonestata da un apprezzamento critico della redditività aggregata delle imprese di settore, per le quali – anche, e si pure non esclusivamente, in ragione delle recenti dinamiche inflattive – consta, all’incontro, di significativi incrementi dei profili tariffari“.
In altre parole le compagnie sono troppe ricche per lamentarsi di quanto pagano alle vittime.
Punto, gioco, partita.