L’art. 1892 c.c. (in tema di dichiarazioni inesatte o reticenti nell’ambito del contratto assicurativo) tutela l’esatta rappresentazione del rischio da parte dell’assicuratore al momento della manifestazione del consenso, affinché quest’ultimo possa decidere se assumerlo o meno e, in caso positivo, possa stabilire l’esatto ammontare del premio. Pertanto, nel contratto assicurativo, le dichiarazioni precontrattuali vengono ad assumere una rilevanza maggiore rispetto a quella che normalmente si rinviene rispetto agli altri tipi contrattuali. A tale riguardo la Corte di Cassazione ha precisato, in ordine all’elemento psicologico (come ripete anche nella recente sentenza n. 7007 del 15 marzo 2024), che:
“sotto il profilo dell’elemento soggettivo, al fine di integrare l’elemento soggettivo del dolo non è necessario che l’assicurato ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti, essendo sufficiente la coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente; quanto alla colpa grave, occorre invece che la dichiarazione inesatta o reticente sia frutto di una grave negligenza che presupponga la coscienza dell’inesattezza della dichiarazione o della reticenza in uno con la consapevolezza dell’importanza dell’informazione, inesatta o mancata, rispetto alla conclusione del contratto ed alle sue condizioni. Difatti nel contratto di assicurazione gli obblighi informativi hanno la precipua funzione di garantire un giusto equilibrio tra i rischi che ogni parte si assume in ordine all’evento futuro e incerto che costituisce l’oggetto del contratto“
In conseguenza delle dichiarazioni inesatte o di reticenze dell’assicurato, rilevanti ai fini della manifestazione del consenso al contratto da parte dell’assicuratore, questi “ha la possibilità di chiedere l’annullamento del contratto se tale reticenza venga scoperta prima che il sinistro si verifichi, oppure di rifiutare il pagamento dell’indennizzo, anche lasciando in vita il contratto, se la reticenza venga scoperta dopo il sinistro, ovvero prima del sinistro, ma quando quest’ultimo si verifichi entro tre mesi.
Alla luce di questi principi la Corte di Cassazione ha confermato la statuizione del giudice di appello, che aveva rigettato l’eccezione di decadenza dall’indennizzo, formulata dalla compagnia, ritenendo “sussistere la buona fede dell’Asl nel non riferire all’assicuratore prima della stipula della polizza le circostanze di fatto note circa la pendenza del procedimento penale a carico dei medici, non senza aggiungere che l’Asl avrebbe potuto giustificatamente ritenere che quel procedimento non aveva condotto ad alcun accertamento implicante responsabilità risarcitoria in considerazione del notevole lasso di tempo decorso da tale momento rispetto al momento della conclusioni del contratto“.