La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8699 del 2 aprile 2024, specifica che la motivazione di ogni sentenza deve articolarsi in una sequenza di passaggi logici che possono così schematicamente scomporsi:
a) ricognizione dei fatti rilevanti in ordine alla questione in diritto controversa, che vengono in tal modo a definire il thema probandum della fattispecie concreta in esame;
b) individuazione, tra quelli ritualmente acquisiti al giudizio, degli elementi probatori dimostrativi dei predetti fatti e selezione di quelli ritenuti decisivi, all’esito di un giudizio di prevalenza, alla formazione del convincimento del Giudice;
c) indicazione delle ragioni per cui alla fattispecie concreta, come rilevata in base ai fatti provati, debbono essere ricollegati determinati e non altri effetti giuridici (ovvero le ragioni della applicazione della regula iuris al rapporto controverso).
La carenza, nell’impianto motivazionale della sentenza, di uno dei momenti logici indicati ovvero la loro insanabile contraddizione configura “un vulnus al principio generale secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati (art. 111, comma 6), che può spaziare, secondo la gravità, dal vizio di omesso esame di fatto decisivo e controverso (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) fino alla difformità della sentenza dal modello legale per assenza dell’indicato requisito essenziale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 ed all’art. 118 disp. att. c.p.c.)“.
In particolare, deve ravvisarsi il vizio di carenza di motivazione tutte le volte in cui la sentenza non dia conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione e dunque non consenta la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non evidenziando gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione ed impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice .
Nel caso di specie, la corte di merito era caduta in irriducibile contraddizione nel descrivere le caratteristiche della buca stradale, causa del sinistro in esame, ritenendola, da una parte, non avvistabile, in quanto di piccole dimensioni (inferiore ad una normale falcata) e rasente il marciapiede e, dall’altra, ben visibile, nonostante coperta da carte. Inoltre escludeva l’asserita non visibilità della buca stante l’ampiezza inferiore di una normale falcata di chi si accingeva a risalire il marciapiede. La Corte ha rilevato che tale affermazione rappresenta una mera congettura, atteso che, secondo l’id quod plerumque accidit un pedone inciampa, ponendo la punta del piede nella buca, senza che la dimensione di quest’ultima rispetto all’ampiezza di una normale falcata sia di per sé determinante ai fini della sua pericolosità.