La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10394 del 17 aprile 2024, modula, in tema di r.c.a., la funzione assicurativa, specificando che la stessa, nei casi di danno dolosamente provocato dal danneggiante, risarcisce il danneggiato ma non garantisce il responsabile, risultando peraltro irrilevante la circostanza che l’area di circolazione non risulti ordinariamente adibita a transito veicolare. E’ sufficiente infatti che l’utilizzazione del veicolo sia conforme alla sua funzione abituale, ciò che accade allorché il danno sia determinato dal movimento del veicolo, sia pure in modo improprio rispetto alla sua natura di mezzo di trasporto.
Il principio viene espresso in relazione ad una vicenda di cronaca. La vittima mentre camminava in una via cittadina, veniva affiancata da una vettura , il cui conducente – dopo averla inseguita con l’auto, insultandola e minacciandola – raggiunta in un campo arato, l’arrotava per due volte, infine colpendola con calci al volto mentre era intrappolata sotto l’auto.
I due presunti ostacoli (investimento volontario e luogo non aperto alla circolazione) alla condanna della compagnia del veicolo del responsabile del delitto a favore della vittima vengono superati dalla Corte, sulla base del prioritario principio di tutela del danneggiato, come affermatosi a livello europeo.
Ed invero, per quanto riguarda la sede dell’incidente, richiamando suo precedente orientamento, la Corte conferma l’irrilevanza della natura pubblica o privata dell’area di circolazione, nonché del tipo di uso che del mezzo si faccia, perché è “l’utilizzazione del veicolo in modo conforme alla sua funzione abituale ad assumere fondamentale rilievo costituendo, in luogo di quello del “numero indeterminato di persone”, il criterio di equiparazione alle strade di uso pubblico di ogni altra area o spazio ove sia avvenuto il sinistro” (cfr. S.U. Cass. Civ. 30 luglio 2021 n. 21983).
L’ammissibilità della pretesa risarcitoria azionata dal danneggiato verso l’assicuratore del responsabile risulta, dunque, subordinata alla sola condizione che l’uso del veicolo – qualunque esso sia – “rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo“. Viene così in rilievo la seconda questione: se l’uso intenzionale dello stesso, per arrecare danno, possa dirsi riconducibile a tale paradigma.
La Corte di Cassazione osserva che anche l’impiego di un veicolo, sostanziatosi nell’investimento della vittima, nell’intento deliberato di ferirla o di ucciderla, rientra comunque nella circolazione perché l’incidente risulta comunque determinato dal movimento di un’automobile, sia pure in modo improprio rispetto alla sua natura di mezzo di trasporto.
Su tali basi conferma un costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale “in nome dell’esigenza di tutela primaria del soggetto danneggiato – esigenza che è a fondamento dell’intero sistema della responsabilità civile autoveicoli, tanto che il Fondo di garanzia per le vittime della strada è tenuto a coprire anche il danno causato da veicolo non assicurato – il contratto di assicurazione viene, in un certo senso, a scindersi“; esso “opera in favore del terzo danneggiato che ha diritto di ottenere dall’assicuratore del responsabile il risarcimento del danno”, mentre “non opera in favore dell’assicurato danneggiante, contro il quale l’assicuratore avrà il diritto di regresso, come se il contratto in realtà non ci fosse”