E’ noto che spetta ai congiunti provare il nesso causale tra il decesso del loro congiunto e l’ipotizzato inadempimento dei sanitari. A questi ultimi incombe invece dimostrare l’esatto adempimento o la causa non imputabile dell’inesatta esecuzione della prestazione. Nella vicenda, oggetto della sentenza dd. 26 aprile 2024 n. 11224, la Corte di Cassazione censura la valutazione, operata dal giudice di merito, in ordine al profilo probatorio, individuando diversi errori, sia in iudicando che in procedendo, nonché l’omissione di fatti storici decisivi e discussi.
Ed invero, pur dando atto, nella motivazione della sentenza, della carenza (se non inesistenza) della documentazione sanitaria, il giudice d’appello non aveva attribuito alcun peso a tale circostanza, nonostante non si fosse potuto adeguatamente ricostruire l’evoluzione clinica della patologia che aveva afflitto la paziente, né si era potuto fare piena luce sull’attività clinica, diagnostica e strumentale svolta dai sanitari, né si fosse con certezza individuata la causa del decesso, indicata in maniera non del tutto affidabile, in un aneurisma disseccante dell’aorta.
La Corte a tale proposito precisa che “le notizie, normalmente desumibili dalla cartella clinica, sulla evoluzione della patologia, sull’attività diagnostica, clinica e strumentale espletata dai sanitari e, soprattutto, sulla causa del decesso del paziente, sono fondamentali per la formulazione del giudizio sulla sussistenza del nesso causale tra il decesso medesimo e l’ipotizzata negligenza o imperizia dei medici, soprattutto in fattispecie, come quella in esame, in cui la stessa patologia ipotizzata e formalmente certificata nell’atto necroscopico (ma non sostanzialmente accertata) può assumere una duplice tipologia, l’una trattabile chirurgicamente, l’altra trattabile farmacologicamente, con diverse probabilità di successo nelle due ipotesi“.
Un primo errore, in iure, in cui è incorsa la Corte d’appello è, dunque, consistito “nel non tenere conto di tale rilevata e palese carenza documentale in funzione della formulazione del giudizio di responsabilità (od irresponsabilità) della struttura sanitaria: in tal modo, infatti, è stato violato il principio – fondato sul rilievo che la carenza della documentazione sanitaria acquisibile presso la struttura non può ridondare a detrimento del paziente – secondo cui, in tema di responsabilità medica, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione“.
Il Giudice di merito, invece di prendere atto, in funzione del giudizio sull’assoluzione dell’onere probatorio gravante sui danneggiati, della circostanza che l’incompletezza della cartella clinica aveva reso impossibile persino l’individuazione della causa mortis, ha reputato di colmare tale lacuna con le risultanze probatorie e indiziarie desumibili aliunde (in particolare dalla querela presentata da uno dei congiunti), favorevoli all’assenza di responsabilità medica e di nesso causale, non spiegando però come le stesse abbiano potuto surrogare la lacunosità della documentazione sanitaria in ordine alla natura ed evoluzione della patologia e all’attività clinica, diagnostica e strumentale effettuata, in quelle stesse ore, dai sanitari e valutando peraltro solo parzialmente le stesse dichiarazioni.
Sotto altro profilo, rilevante è la considerazione che la Corte opera, in ordine all’omessa esecuzione di esami non routinari, ipotizzata dal precedente giudice di merito nemmeno esigibili ad un presidio ospedaliero di secondaria importanza come quello in cui si svolge la vicenda.
Nella sentenza si legge che tali argomentazioni: “sono illegittime per molteplici ragioni: in primo luogo, perché non tengono conto della circostanza che, alla stregua delle osservazioni formulate dai periti (debitamente evidenziate in ricorso), la diagnosi di dissezione dell’aorta, sebbene conseguibile con maggiore certezza con esami effettivamente complessi ed invasivi (quali la ecocardiografia transesofagea e l’angio-TAC), avrebbe tuttavia potuto essere formulata anche sulla base di accertamenti ordinari, quali l’ecocardiogramma o la RX del torace; in secondo luogo perché il rilievo circa la mancanza di mezzi e di personale è stato formulato sulla base di una mera congettura, in difetto di allegazioni delle parti; in terzo luogo, perché la mancanza di mezzi o di personale qualificato della struttura sanitaria, lungi dal costituire una esimente di responsabilità, può integrare una tipica ipotesi di inadempimento, dal momento che, per dare la prova liberatoria, la struttura deve dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile, la quale non può evidentemente essere costituita da una colpevole deficienza organizzativa“.