La vicenda, oggetto della sentenza n. 12231 del 6 maggio 2024 della Corte di Cassazione, trae origine dalla cronaca. Un esponente politico della Lega e l’Associazione Terra Insubre convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Varese, un esponente dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) per sentirlo condannare al risarcimento del danno non patrimoniale patito, in conseguenza delle frasi, asseritamente diffamatorie, pronunciate dal medesimo durante un raduno di ex partigiani, sullo stesso luogo dove, pochi giorni prima, vi era stata un’adunanza di naziskin, provenienti da vari paesi europei, per celebrare il compleanno di Adolf Hitler, cadente il 20 di aprile. In particolare veniva censurato la parte del discorso in cui aveva erano stati ricondotti nell’alveo dei soggetti responsabili della diffusione e del radicamento di ideologia neofasciste, fasciste e neonaziste nel territorio di appartenenza.
La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito, ritenendo che non costituisce condotta illecita riferire il passato fascista del politico, posto che si trattava di affermazioni fondate su un presupposto non smentito, e anzi ribadito pubblicamente dallo stesso, quantomeno con riferimento a un determinato periodo della sua vita, dal quale, nell’ambito di un discorso storico politico di carattere generale, ossia non connotato in termini di rigorosa ricostruzione storica. La Corte valida dunque il ragionamento espresso dal giudice di appello che in sostanza aveva ritenuto che l’esponente dell’ANPI avesse espresso il proprio pensiero e in detta ottica il riferimento al legame con il passato fascista fosse da intendere in senso ampio e che, quindi, l’essere stato, in gioventù, il politico militante del MSI e di leader del Fronte della Gioventù, organizzazione politica, l’una, e movimento, l’altro, appartenenti alla destra radicale non avesse carattere diffamatorio, evidenziando che la veridicità di tale riferimento andasse inteso in modo meno rigido di quanto richiesto in ordine al diritto di cronaca.
Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità “costituisce esercizio del diritto di critica politica anche l’esposizione di fatti in parte ormai storici e in parte già di pubblica diffusione e tali da essere di pubblico interesse per la loro idoneità ad incidere sulla reputazione di un soggetto avente ampie aspirazioni politiche, nonché di altri fatti la cui fonte di apprendimento, sebbene non svelata, sia comunque ricostruibile, laddove ciascuno di essi sia utilizzato non al limitato fine di offrirne una rassegna, bensì come elementi sulla base dei quali costruire una valutazione, tutta politica, di inadeguatezza del soggetto coinvolto ad assumere cariche pubbliche (nella specie, a candidarsi alla guida del governo di un Paese), non essendo, peraltro, la critica politica soggetta ad alcun vincolo di obiettività“. Assumono peraltro rilievo le circostanze di tempo e di luogo in cui la critica politica viene esplicitata, e segnatamente dell’essere essa stata pacificamente espressa in un discorso politico, luogo, in senso fisico e virtuale, principalmente deputato all’uso di espressioni fortemente caratterizzate in senso valutativo anche negativo, “atteso che il comizio rappresenta il luogo classico ove pubblicamente si confrontano le diverse opinioni pubbliche e le dichiarazioni rese in quel contesto non equivalgono al rilascio di una vera e propria intervista, essendo semmai il detto delitto configurabile a carico dei giornalisti che abbiano pubblicato la notizia senza accertarne la intrinseca veridicità“.