Il poeta Bertolucci affermava in una sua famosa poesia che l’assenza è la più acuta presenza. Affermazione assolutamente pertinente in tema di lacuna nella cartella clinica.
La Corte di Cassazione infatti ritorna, con la sentenza n. 16737 del 17 giugno 2024, in materia di riparto dell’onere della prova nella responsabilità contrattuale sanitaria, con particolare in riferimento al caso di cartella clinica incompleta.
Come già più volte affermato (https://studiolegalepalisi.com/2024/05/22/lincompletezza-della-cartella-sanitaria-e-prova-del-nesso-di-causa/) l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente (allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno).
Il principio che opera in questo caso è quello della vicinanza alla prova, secondo il quale “in tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente.
La Corte precisa che “la conformazione della condotta del sanitario nel senso di astratta idoneità alla causazione dell’evento dannoso è logicamente il primo elemento da vagliare, mentre soltanto se, al contrario, la condotta del sanitario fosse astrattamente ovvero assolutamente inidonea a causarlo, non occorrerebbe alcuna ulteriore ricostruzione fattuale. Entro i rigorosi limiti citati, la valenza dell’incompletezza della cartella, attraverso il mezzo presuntivo che integra il riflesso del principio della vicinanza probatoria, si risolve coerentemente a favore di chi deduce di essere stato danneggiato, giacché, diversamente, la stessa verrebbe a giovare proprio a colui che, rimanendo inadempiente rispetto al proprio obbligo di diligenza, ha determinato quella lacuna, che, diversamente opinando impedirebbe di accertare la sua responsabilità“. Ed invero “il medico ha l’obbligo di controllare la competenza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell’ art. 1176 c.c. e, quindi, un inesatto adempimento della sua corrispondente prestazione professionale“
Nella vicenda in oggetto si trattava della “scomparsa” di un tracciato ecotocografico intermedio tra quello pomeridiano, in cui secondo le allegazioni attoree il feto era vitale, e quello dell’alba del giorno dopo, in cui era già in stato preagonico. La denunciata lacuna nella cartella, in questo caso, ove fosse positivamente accertata, sarebbe rilevante ai fini della ricostruzione del nesso eziologico, con la conseguenza che l’opposto valore presuntivo derivante da quella carenza non può essere obliterato.