La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18518 dell’8 luglio 2024, conferma che, in materia di responsabilità ex art. 2051 c.c., il soggetto danneggiato deve provare esclusivamente la derivazione del danno dalla cosa e la custodia della stessa da parte del preteso responsabile, non pure la propria assenza di colpa nel relazionarsi con essa.
La Corte richiama in primo luogo “l’ormai indiscusso presupposto della natura oggettiva della responsabilità del custode e della ontologica distinzione tra caso fortuito e fatto del danneggiato o del terzo, salva l’omogeneità delle ricadute “funzionali” sul piano della responsabilità e del risarcimento (per tutte, Cass. Sez. 3, sent. 27 aprile 2023, n. 11152, e successive conformi), precisando che il requisito legale “della rilevanza causale del fatto del danneggiato è la colpa, intesa come oggettiva inosservanza del comportamento di normale cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza”, e ciò perché , mentre “al pari della concausa naturale, il fatto non colposo del danneggiato non incide sul risarcimento, al contrario il fatto colposo ne comporta la riduzione, secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 23 maggio 2023, n. 14228, Rv. 667836-02)“.
Da quanto precede deriva che: “presupposti della responsabilità per i danni da cose in custodia, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sono la derivazione del danno dalla cosa e la custodia“, sicché essi, “in quanto elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità speciale, ex art. 2051 cod. civ., devono essere provati dal danneggiato” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 7 settembre 2023, n. 26142, Rv. 669110-01). “Incombe, invece, sul custode“, si è del pari ribadito, “la prova (liberatoria) della sussistenza del “caso fortuito”, quale fatto (impeditivo del diritto al risarcimento) che esclude la derivazione del danno dalla cosa custodita”, da intendersi quale “fatto diverso dal fatto della cosa, estraneo alla relazione custodiale, che assorbe in sé l’efficienza causale dell’evento dannoso, escludendo che esso possa reputarsi cagionato dalla res” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 26142 del 2023, cit.). La caratterizzazione oggettiva della nozione di “caso fortuito”, diversa da quella tradizionale che lo identificava con l’assenza di colpa (casus=non culpa), trova fondamento nell’orientamento, consolidatosi già da diversi anni nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 3, ord. 1 febbraio 2018, nn. 2477, 2478, 2479, 2480, 2481, 2482 e 2483), nonché suggellato dal suo massimo consesso (Cass. Sez. Un., sent. 30 giugno 2022, n. 20943, Rv. 66508401), oltre che di recente ulteriormente ribadito (Cass. Sez. 3, sent. n. 11152 del 2023, cit.), “secondo il quale la responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. ha natura di responsabilità oggettiva, la quale prescinde da ogni connotato si colpa, sia pure presunta, talché è sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore della derivazione del danno dalla cosa, nonché del rapporto di fatto custodiale tra la cosa medesima e il soggetto individuato come responsabile” (cfr., ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 26142 del 2023, cit.).
Se, dunque, “la colpa del custode non integra un elemento costitutivo della sua responsabilità, la prova liberatoria che egli è onerato di dare, nell’ipotesi in cui il danneggiato abbia dimostrato il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, non può avere ad oggetto l’assenza di colpa (ovverosia, la posizione in essere, da parte sua, di una condotta conforme al modello di comportamento esigibile dall’homo eiusdem condicionis et professionis e allo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso), ma dovrà avere ad oggetto la sussistenza di un fatto (fortuito in senso stretto) o di un atto (del danneggiato o del terzo) che si pone esso stesso in relazione causale con l’evento di danno, caratterizzandosi, ai sensi dell’art. 41, secondo comma, primo periodo, cod. pen., come causa esclusiva di tale evento” (così, ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 26142 del 2023, cit.)“.
La Corte quindi dichiara errata la sentenza impugnata là dove addebitava, a chi ha agito a norma dell’art. 2051 cod. civ., un onere probatorio gravante, invece, sul custode, affermando che parte attrice, “a fronte delle condizioni di luogo, strada percorsa di notte e con forte vento, non ha fornito alcun elemento idoneo a provare la condotta di guida diligente e prudente. Non è, infatti, il soggetto danneggiato – ricorrendo la fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ. – a dover provare la “diligenza e prudenza” (id est: l’assenza di colpa) nel relazionarsi con la “res” oggetto di custodia, non trattandosi di elemento costitutivo della fattispecie“.