Una donna straniera si recava al Pronto Soccorso per una ferita alla gamba causata da una catena. Il medico, all’esito delle domande di prassi, l’aveva medicata e suturata previa anestesia locale, disponendo, come da referto, la “regolarizzazione della posizione antitetanica al distretto ASL” poiché, non riuscendo a farsi comprendere nella lingua italiana, e non riuscendo a ottenere il necessario consenso informato, si era astenuto dalla relativa somministrazione, che avveniva il giorno seguente ma senza la contestuale terapia immunoglobulinica, necessaria a evitare l’infezione tetanica infatti intervenuta nelle giornate ancora a seguire, con finale quanto significativa invalidità permanente.
Il Tribunale accoglieva la relativa domanda risarcitoria, sottolineando, in particolare, che l’assistenza di persone straniere, in relazione a difficoltà linguistiche, deve comportare necessariamente il superamento di tale barriera al fine di adempiere all’ordinaria prestazione medica, consistente nella completa profilassi del caso. La Corte di Appello invece riversava la responsabilità dell’evento proprio alla paziente affermando che: “a fronte dello specifico fattore di rischio di shock anafilattico, il medico del Pronto Soccorso, non avendo potuto ottenere il consenso informato dalla paziente, nonostante tentativi posti in essere per quasi un’ora cercando pure di sollecitarla a farsi raggiungere da parenti, sia per incomprensioni linguistiche sia perché la stessa era affetta da decadimento cognitivo, aveva invitato quest’ultima alla regolarizzazione della vaccinazione, avvenuta in modo incompleto il giorno dopo per indisponibilità delle immunoglobuline presso l’ASL interessata, sicché non era possibile imputare il preteso inadempimento causalmente colposo, e l’omesso trattamento, pur astrattamente decisivo, doveva invece ritenersi, in concreto, una libera scelta della vittima“
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. del 16 agosto 2024 n. 22888, annulla la precedente decisione, ritenendola per un verso irresolubilmente contraddittoria, per l’altro radicalmente carente su punti potenzialmente decisivi. Ed invero rileva che: “non è dato comprendere come sia stato possibile dare atto di un dialogo tra paziente e medico quanto alle cure mediche poste in essere sino all’anestesia, necessitanti o meno di uno specifico consenso informato, e poi concludere per l’assoluta impossibilità di farsi comprendere anche con un linguaggio semplice riguardo alla necessità di somministrazione di un vaccino ovvero di un farmaco come pure quello prodromico alla suturazione, al fine di prevenire gravi patologie se non esiti peggiori, sia pure con qualche rischio ma sotto controllo medico“.
Inoltre non: “risulta decifrabile la logica sottesa all’addebito di condotte omissive della paziente, a fronte delle raccomandazioni date riguardo alla generica indicazione di “regolarizzazione della posizione antitetanica”, quando al contempo si concluda per una compiuta impossibilità di farsi capire con riferimento alla necessità di somministrare un medicinale essenziale per evitare conseguenze gravi“. Né risulta spiegato in modo decifrabile “come si possa conciliare la sopra detta conclusione con il consenso informato pacificamente acquisito in occasione della vaccinazione effettuata il giorno successivo“.
La Corte poi si appunta sul fatto che: “non è dato comprendere da quale dato istruttorio la Corte di appello desume che il dottor avrebbe provato a chiedere alla paziente di farsi raggiungere dai familiari senza riuscire a farsi capire neppure con riferimento a tale semplice comunicazione, e perché non avrebbe avuto rilievo, in coerenza, il tentativo di contattarli diversamente, se possibile, dopo l’avvenuta identificazione della paziente; così come non è dato comprendere perché si sarebbe trattato di un’impossibilità assoluta senza neppure verificare se nella struttura fosse presente o in ogni caso fosse reperibile personale utile a un supporto linguistico;
A ciò si aggiunge: “la genericità delle indicazioni del referto e l’omesso quanto motivato vaglio della necessità, e contestualizzabile urgente necessità, di somministrare egualmente il farmaco ovvero dei pericoli di ritardo (v. utilmente Cass., 15/04/2019, n. 10423; v. anche Cass., 29/09/2015, n. 19212, , anche in ordine “all’adozione di un linguaggio che tenga conto del…particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche” della paziente., arresto in cui viene menzionata Cass., 20/8/2013, n. 19920), consigliando infine di recarsi in struttura risultata priva di immunoglobulina senza spiegazioni in ordine alla possibilità ovvero al dovere di essere opportunamente a conoscenza di ciò, se del caso previa acquisizione d’informazioni“.