A causa della responsabilità dei medici, per mancata esecuzione del taglio cesareo, il Tribunale di Cassino condannava l’Azienda sanitaria convenuta al pagamento in favore della madre della somma di Euro 80.000,00, già decurtata della somma riconosciutale a titolo di provvisionale, e della somma di Euro 15.000,00 ciascuna per le sorelle, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito per la morte intrauterina del figlio e del fratello. Proposto appello dinanzi alla Corte d’appello di Roma, la sola originaria attrice chiedeva la condanna dell’Azienda ospedaliera al pagamento del maggior importo dovutele per la perdita del rapporto parentale con il nascituro da liquidarsi, almeno nel minimo dei parametri previsti dalle Tabelle Milanesi (forbice da Euro 163.990 a 327.990) e nella misura di Euro 40.000,00 per il danno al nascituro o nel diverso importo ritenuto di giustizia. La Corte accoglieva il gravame e in riforma parziale della sentenza di prime cure, condannava l’Azienda appellata al pagamento in favore della appellante della somma di Euro 140.000,00.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22899 del 19 agosto 2024, ha cassato la sentenza ritenendo che la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale subito dalla danneggiata sia stata operata in modo apodittico, senza dare conto del percorso logico giuridico seguito con particolare riferimento ai parametri e ai criteri utilizzati per giungere ad indicare il complessivo importo liquidato a tale titolo.
Ed invero afferma che la Corte territoriale ha ritenuto di condividere “il metodo risarcitorio adottato dal Tribunale con applicazione non automatica delle Tabelle milanesi per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale”, richiamando correttamente, sul punto, i principi espressi da questa Corte in materia di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, secondo cui, in particolare, la lesione va calcolata in ragione della qualità e quantità della relazione affettiva con la persona perduta che, nella peculiarità del caso in esame, trattandosi di un figlio nato morto, tale relazione è solo potenziale (Cass. Sez. 3, 19/06/2015 n. 12717) e affermando, pertanto, che tra la madre e il figlio ancora in grembo s p comunque un rapporto affettivo che si rafforza nel corso della gravidanza, ragion per cui i criteri tabellari possono costituire ad ogni modo un punto di partenza per la liquidazione, pur sempre equitativa, del danno non patrimoniale subito dalla madre. Al momento della liquidazione, però, la medesima Corte territoriale, pur accennando alle peculiari circostanze della vicenda come “altamente drammatiche” (essendo avvenuta la morte intrauterina del feto quando la odierna ricorrente era giunta alla 36ma settimana di gravidanza e per le modalità attraverso cui la gestante apprese la notizia) e considerando la composizione ridotta del nucleo familiare della danneggiata (un marito e una figlia), ha concluso affermando che “appare congruo liquidare complessivamente la somma di Euro 140.000,00 che tiene conto di ogni pregiudizio subito sino ad oggi dalla danneggiata anche della ritardata liquidazione” (pag. 4 della sentenza impugnata), mancando del tutto di dare conto dei parametri e dei criteri utilizzati per giungere ad indicare l’indicato complessivo importo“